Attualità

Venerdì profano #5 – NCD Nuovo Centro Detenzione

Nel corso degli anni ho imparato a trovare, con riferimento alle mie domande riguardo il criterio di ripartizione di alcuni Ministeri, risposte nella logica medica dell’omeopatia: curare una malattia con la malattia stessa.

In questo senso, Roberto Maroni potrebbe esser divenuto Ministro degli Interni in quanto condannato a quattro mesi e venti giorni per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale: negli anni ’90, durante una perquisizione dei Carabinieri in una sede della Lega Nord svolta nell’ambito dell’inchiesta sulle “camicie Verdi”, dopo una colluttazione che mise KO il futuro Ministro, questi decise, faccia al pavimento, di azzannare alla caviglia un gendarme.

Ma Bobo, fachiro, in realtà stava solo saggiando la consistenza delle forze dell’ordine, di cui sarebbe poi stato Ministro.

Clemente Mastella, invece, non fu un Ministro, ma un termine di paragone.

Una fotografia con tre persone: lui – futuro Ministro della Giustizia -, testimone di nozze insieme all’amico Totò Cuffaro – futuro Presidente della Regione Sicilia, poi condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio – e lo sposo, Francesco Campanella – segretario dei giovani dell’Udeur (il partito di Mastella), nei ritagli di tempo braccio destro di Bernardo Provenzano (fornì a quest’ultimo un passaporto falso per permettergli di andare in Francia a farsi operare alla prostata).

Storia. Poesia. Ma che, forse magia.

Un Ministero (oltre che un mistero) che rimarrà sospeso nella memoria collettiva dell’umanità, postosi tra l’orientamento delle piramide e i massi di Stonehenge.

Capiamoci, da questo punto di vista – come da altri – Alfano è un dilettante.

Da Guardasigilli, ancora sporco di latte, firmò il Lodo Alfano (anzi, “ad Nano”, poi bocciato dalla Consulta), il bavaglio Alfano (bocciato da Fini), il processo lungo e la prescrizione snella (bocciate dalla sua stessa maggioranza). Bocciato.

Sognante, Ministro bucolico «unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi»; addirittura un visionario: la proposta di «penitenziari galleggianti» per risolvere il sovraffollamento carcerario viene ancora oggi trattata come un momento di ascetico misticismo, che gli conferì momentaneamente il dono delle lingue, dandogli conoscenze a noi inarrivabili ed impenetrabili.

Uomo di competenza e autorità.

Tanto che, quando agenti italiani e kazaki ordinarono il sequestro di Alma Shalabayeva e della figlioletta direttamente dai suoi uffici, lui disse di non essersi accorto di nulla: con una faccia così, il Parlamento non poté che credergli.

Uomo di libertà e giustizia.

Memore delle sue lotte in nome, sacra sacrorum, della «presunzione di innocenza» (che sarebbe di «non colpevolezza», ma Alfano è uno che si porta avanti), della difesa dei perseguitati e degli ultimi contro giustizialisti e carogne, diede, al suo fermo, dell’«assassino» a Bossetti.

Ma lui è così: vuol essere giudice, giuria e Ministro degli Interni.

E se gli danno un palloncino e un lecca-lecca lui se ne sta bravo bravo tutto il giorno senza dire una parola; in alternativa, non schizzinoso: “si accettano ministeri”.

Sfortunatamente, questa settimana, dall’inchiesta romana “Labirinto” – dove dalle intercettazioni, nonostante i ventiquattro arresti e i cinquanta indagati, si sente distintamente il fruscio delle mazzette – s’è scoperto che Lino Pizza (al centro dell’inchiesta; scrive il GIP che questi esercitava «il potere di influenza che gli è riconosciuto nell’ambiente degli imprenditori gravitanti nel settore degli appalti pubblici sfruttando i legami stabiliti con influenti uomini politici spesso titolare di altissime cariche istituzionali») gli avrebbe fatto assumere il fratello alle Poste, al modico stipendio di 160 mila euro l’anno.

Avrebbe poi esaminato altri ottanta curricula, spediti dal padre del Ministro, per sistemare altri amici al call center progettato dalla “Cricca”. Intercettata, la segretaria di Pizza dice: «Io ti spiego cosa ci ha fatto a noi Angelino… Cioè, noi gli abbiamo sistemato la famiglia»; mentre il fratello di Pizza è in servizio al Viminale. Giustamente indignato, il Ministro si scaglia contro questo «riuso degli scarti di un’inchiesta giudiziaria per fini politici»; d’altronde, non è indagato e «le intercettazioni non riguardano me, ma persone terze, che non sento da anni». Sic!

Del resto, «l’inchiesta racconta comportamenti che sono distanti dalla mia visione delle cose, dal mio mondo e dal mio essere cittadino italiano». E io sono con lui: si vergogni chi sospetta qualsiasi, ogni cosa di un uomo che si fece raccomandare da Massimo Ciancimino (prima che collaborasse con i PM, poi finse di non conoscerlo) per un trapianto di capelli – per altro, senza nemmeno riuscirci. Si penta chi dubita di un uomo alla guida di un partito – Ncd, Nuovo Centro Destra (o “Detenzione”, verificheremo) – dove il 35% dei parlamentari, 19 su 54, è coinvolto in inchieste che vanno dalla corruzione all’abuso d’ufficio, dalla turbativa d’asta al concorso esterno; del leader di gruppo parlamentare che, contando anche l’Udc di Casini, vede 23 indagati su 69.

Uno su tre.

L’ha capito, Alfano: tieniti vicino gli amici e ancora più vicino gli indagati. Non è il ministro degli Interni, ma quello dell’Omeopatia

.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *