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Venerdì profano #26- Morto un Castro se ne fa un altro

«Quella sera, la prima del blocco, a Cuba c’erano 482.560 automobili, 343.300 frigoriferi, 549.700 apparecchi radio, 303.500 televisori, 352.900 ferri da stiro elettrici, 286.400 ventilatori, 41.800 lavatrici automatiche, 3.510.000 orologi da polso, 63 locomotive e 12 navi mercantili. Tutto ciò, salvo gli orologi, che erano svizzeri, era stato fabbricato negli Stati Uniti. […] Cuba importava dagli Stati Uniti quasi 30.000 articoli utili e inutili per la vita quotidiana. […] Del resto, le prime misure della Rivoluzione avevano fatto crescere sul campo il potere d’acquisto delle classi più povere e queste ultime non avevano allora altra nozione di felicità che il semplice piacere di consumare. […] A un certo punto, qualcuno ebbe bisogno di un’aspirina all’uscita del cinema e non ne trovammo in tre farmacie. La trovammo alla quarta e il farmacista ci spiegò senza allarmismi che l’aspirina era diventata rara da tre mesi. La verità è che molte altre cose essenziali, e non solo l’aspirina, erano diventate rare. […] Il 12 marzo del 1962, 322 giorni dopo l’inizio del blocco, venne imposto un drastico razionamento dei generi alimentari. […] Più tardi, i chiodi, il detersivo, le torce elettriche e molti altri articoli di uso domestico vennero a mancare. […] Quel Natale fu il primo della rivoluzione che venne festeggiato senza carne di maiale, né torrone, e in cui i giocattoli furono razionati. Tuttavia, e grazie proprio al razionamento, fu anche il primo Natale nella storia di Cuba in cui tutti i bambini, senza eccezione, ebbero almeno un giocattolo»

– Gabriel García Márquez, “La Havane au temps du blocus”, in Maurice Lemoine, “Cuba, 30 ans de révolution”, in Sèrie Monde HS, 1989.

«Una grande storia per la dignità dei popoli» secondo il presidente del Venezuela Maduro, «incarnava l’orgoglio del rifiuto del dominio straniero» per Hollande, «ha lasciato un segno profondo nella storia di tutta l’umanità» ha dichiarato Gorbaciov, una «figura di importanza storica» per Rajoy, per Junker «un eroe per molti», un «dittatore» secondo Donald Trump: Fidel Castro è morto, a novant’anni, il 25 novembre a L’Avana. E le reazioni del mondo tutto non si sono fatte attendere.

Alla morte del “leader maximo”, tuttavia, nessuno (o quasi), che lo pensasse come eroe o come dittatore, ha parlato del popolo cubano (salvo di quello festante a Miami). La condizione del popolo cubano, invece, dovrebbe essere la massima preoccupazione, al centro di un dibattito che meriterebbe un’attenzione differente, una serietà maggiore. Un popolo che in questi cinquant’anni è stato oggetto di “genocidio”. Ma non da parte castrista, da parte americana.

L’ONU, infatti, più volte (quattro risoluzioni, in questo senso, furono approvate solo nel primo mandato di Obama – dunque una all’anno) ha chiesto la cessazione dell’embargo ai danni di Cuba, perché – come ricordò il Ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez – «l’embargo è equivalente ad un atto di genocidio e di violazione flagrante e sistematica ai diritti umani di un intero popolo, come stabilito dalla Convenzione di Ginevra per la Prevenzione e Sanzione del Delitto di Genocidio del 1948 [che definisce l’embargo, all’articolo 2, il “soggiogare una comunità intenzionalmente a condizioni di vita tali da condurre la comunità stessa verso la distruzione totale o parziale”, ndr]. Attraverso l’embargo gli Stati Uniti cercano di far cadere il governo», ma finiscono per colpire il popolo cubano, invece che il governo del paese.

È dunque lecito, in ragione di ciò, giustificare il regime cubano quando viola sistematicamente i diritti umani, non permette l’esistenza d’un regime democratico e reprime il dissenso? Certo che no. Affatto. Ma il problema è proprio questo: in questa guerra, come del resto in ogni altra, nessuno ha torno o ha ragione. Vi sono due carnefici e una sola vittima: il popolo cubano, in questo caso.

Parlare della storia cubana senza accennare all’embargo occidentale è un po’ come affannarsi a spiegare l’Isis senza menzionare la trentennale occupazione occidentale del medio-oriente: inutile, l’ennesimo tentativo di allontanare ogni qualsivoglia responsabilità dalle catastrofiche politiche occidentali.

In questo senso, morto un Castro se ne farà un altro: magari non sarà appiccicato su una qualche maglietta, ma probabilmente, se lo fosse, il suo popolo non riuscirebbe a permetterlo. Nel silenzio di una storia che viene scritta dai vincitori o da chi, semplicemente, è rimasto in vita.

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