VENERDÌ PROFANO #24 – Massoneria di lotta e di governo
Nella settimana in cui non si fa che parlare della lettera del Presidente del Consiglio agli elettori all’estero; mentre orde di giornalisti inseguono senatori, membri di direttorio e rappresentanti siciliani M5S per la questione delle firme false nelle schede elettorali (sulle orme, vecchie di tre settimane, delle solite Iene), è passata sotto silenzio la notizia del, così detto, “processo P3“.
La Procura di Roma, infatti, da ormai molto tempo indaga sulla P3, una presunta associazione che puntava (tra le altre cose) a influenzare e condizionare gli organi costituzionali, tra cui la Consulta. La Procura ha chiesto l’assoluzione per una persona e la condanna per diciotto – tra i nomi di punta spiccano quelli di Denis Verdini (per il membro portante della maggioranza di Governo la richiesta è di 4 anni) e Flavio Carboni (9 anni e mezzo).
Secondo la Procura l’imprenditore Flavio Carboni, l’ex giudice Pasquale Lombardi (per cui viene richiesta una condanna a 8 anni e mezzo) e l’imprenditore Arcangelo Martino (8 anni e mezzo anche per lui) sarebbero stati, tra il 2009 e il 2010, i promotori dell’associazione. I reati contestati sono quelli di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla violazione della legge Anselmi sulle società segrete: la P3, sostiene l’accusa, aveva come scopo «la realizzazione di una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso d’ufficio, illecito finanziamento ai partiti, diffamazione e violenza privata», oltre al «condizionare il funzionamento degli organi costituzionali». Mentre Denis Verdini (imputato in cinque processi, questo compreso – il sesto è appena caduto in prescrizione) è accusato di corruzione, in quanto si sarebbe attivato per facilitare il gruppo.
Si va dagli affari dell’eolico in Sardegna, alla presunte pressioni sulla Corte d’Appello di Milano per riammettere la Lista Formigoni, fino alla volontà di avvicinare dei giudici della Corte Costituzionale per condizionare la pronuncia sul Lodo Alfano (legge del governo-Berlusconi che prevedeva la sospensione dei processi penali per le quattro più alte cariche dello Stato – poi dichiarata incostituzionale dalla Corte).
Tra i nomi dell’inchiesta spuntano anche quelli di Marcello Dell’Utri (la cui posizione è però stata stralciata e verrà giudicata da un’altra sezione del tribunale); Vincenzo Carbone (chiesti 5 anni), ex primo presidente della Cassazione; Nicola Cosentino (un anno e mezzo), ex sottosegretario all’Economia del Governo Berlusconi, ora in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa; Ugo Cappellacci (un anno), ex presidente della Regione Sardegna; Massimo Parisi (un anno), deputato Ala, il partito di Denis Verdini; e Ernesto Sica (un anno e mezzo), attuale sindaco di Pontecagnano – che in un’intercettazione telefonica disse proprio ad Arcangelo Martino: «Tengo Berlusconi per le palle».
Ma se il passo che va da Verdini – che, esaminato come imputato in udienza, si definì un semplice «facilitatore»: «risolvo i problemi come Wolf [di Pulp Fiction, ndr]» – alla maggioranza è breve (coincidono), per spiegare il legame tra Flavio Carboni e il Governo dobbiamo fare un passo indietro (e uscire dall’inchiesta P3).
Siamo nell’estate del 2014.
A Roma si sta svolgendo una riunione: serve un nuovo direttore generale. Il presidente Lorenzo Rosi e il vicepresidente Pierluigi Boschi (il papà di Maria Elena) sono infatti preoccupati per la situazione di Banca Etruria. Decidono così di rivolgersi a Valeriano Mureddu, giardiniere con la passione per lo spionaggio (oggi indagato per associazione segreta), iscritto a una loggia massonica e dirimpettaio, a Rignano sull’Arno, di Tiziano Renzi (il papà di Matteo) – il quale, per altro, attraverso una serie di intrecci societari, è in rapporti con papà Boschi.
Mureddu avrebbe quindi messo in contatto Rosi e Renzi padre con Flavio Carboni (all’epoca già noto per i suoi rapporti, negli anni ’70, con la famiglia Calò e la banda della Magliana; negli anni ’80, per la sua vicinanza a Licio Gelli e alla loggia P2 – la quale, per altro, aveva il conto “Primavera”, quello dove venivano versate le quote degli affiliati, proprio in Banca Etruria): a consigliare i manager da piazzare alla guida della banca fu Gianmario Ferramonti, anch’egli grande amico di Licio Gelli.
Non è quindi la prima volta che il mondo della massoneria sembra legarsi, direttamente o indirettamente, al Governo.
Accertare le responsabilità giudiziarie è compito dei tribunali, anche se sulla gran parte dell’impianto accusatorio del processo P3 incombe la prescrizione, complice anche la lunga attesa per ottenere il via libera del Parlamento per ottenere le intercettazioni che riguardavano i politici.
Ma di una cosa sembra poter essere sicuri: la massoneria è viva e lotta insieme a noi.