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Valerian: la nuova epopea galattica di Luc Besson

Mondi paralleli od universi proiettati in un futuro indecifrabile, pianeti abitati da creature umane ed umanoidi, o specie aliene di varia natura e fattezza. Sono questi gli ingredienti base che, mescolati di volta in volta in maniera variegata, il cinema fantascientifico da sempre propina con l’obiettivo di catturare l’occhio dello spettatore, ammaliato dalla straordinarietà di quanto viene mostrato. Valerian e la città dei mille pianeti, il nuovo film del regista francese Luc Besson (già autore di pellicole fantascientifiche come Il quinto elemento del 1997 e Lucy del 2014), non fa eccezione, inserendosi perfettamente all’interno di questo filone cinematografico: forse fin troppo esageratamente. Già, perché la sceneggiatura, apertamente influenzata dalla serie di fumetti Valérian et Laureline – amata da Besson fin dall’infanzia – ad opera di Jean-Claude Mézières e Pierre Christin, e pubblicata sulla rivista Pilote dal 1961 al 2010, si presenta come un intricato calderone di qualsivoglia invenzione fantascientifica dove, per dirla proverbialmente, il troppo finisce per “stroppiare”. E ciò, se da una parte è sintomo della potenza della fantasia del regista (che è così preso dalla precisione dei dettagli da consegnare agli attori, prima delle riprese, un volume/copione contenente le minuziose descrizioni di popoli spaziali e luoghi pensati, in modo che gli interpreti possano poi calarsi a pieno in quella visione), al contempo è un elemento che fa perdere il centro della narrazione e disturba un po’ lo spettatore dalla trama di base.

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Immersi in un universo futuro distante centinaia di anni in cui le varie comunità della galassia hanno co-partecipato alla realizzazione della stazione spaziale Alpha, ci si ritrova a seguire le varie peripezie di Valerian e della sua collega Laureline, agenti spaziali umani sempre immersi in missioni impossibili. In questo caso i due protagonisti vengono dapprima ingaggiati dal governo centrale per recuperare, presso il mercato di una città virtuale, una creatura preziosissima – l’ultima della sua specie – capace di riprodurre all’istante qualsiasi cosa essa mangi: si tratta di un esemplare di Mül Converter. La faccenda è però più intricata di quanto non sembri e le vicissitudini dei due agenti si moltiplicano all’infinito incontrandosi e scontrandosi con gli interessi di chi, pur simboleggiando “di facciata” il bene, trama nell’ombra e di coloro i quali, sebbene presentati come nemici pericolosi, rappresentano in realtà solamente i membri sopravvissuti di popolo alieno alla ricerca dei mezzi per ricostruire il proprio pianeta, distrutto da mano umana. A farcire il tutto, come da tradizione, si aggiunge la tematica amorosa: l’innamoramento di Valerian (interpretato da Dane DeHaan) per Laureline (Cara Delevingne) si presenta come un motivo fondante del film, ripreso e toccato più volte (le insicurezze della ragazza, la proposta di matrimonio, il lieto fine) e quasi “circolare”, dal momento che con esso si apre e si conclude la pellicola.

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Più che apprezzabili e punto di forza sono gli effetti speciali di questo film, una pellicola avente come budget circa 200 milioni (cifra strabiliante per una produzione francese, che rende Valerian uno dei film europei più costosi di sempre); l’accostamento dei diversi piani dimensionali, i passaggi da un ambientazione ad un’altra, le caratteristiche e le azioni di alieni e creature mostruose sono rese e realizzate in maniera spettacolare (si pensi, ad esempio, alle trasformazioni dell’alieno mutante interpretato dalla cantante Rihanna). Si tratta di tecniche e trucchi scenici di nuova generazione, nati dalla cooperazioni di più aziende fra le quali l’Industrial Light & Magic e la Rodeo FX. Ma la fantascienza trova anche spazio per il sociale, e i messaggi che Besson restituisce tramite la pellicola sono potenti e importanti: egli semina riflessioni legate alla tutela ambientale e alla denuncia nei confronti di forme di sterminio di popoli ed etnie. Messaggi d’amore e di rispetto verso ogni forma di essere vivente.

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Concludendo, Valerian rimane un prodotto riuscito a metà: una sceneggiatura spinta verso il barocchismo e gusto per l’accumulo che in parte vacilla, risollevata però dalla componente tecnico-visiva. Sicuramente uno spettacolo piacevole: certo, se l’aspettativa è il nuovo Star Wars (che la pellicola in alcuni particolari omaggia), siamo lontani anni luce. Besson ha ipotizzato un’eventuale trilogia: non resta che attendere lo sviluppo del progetto.

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