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Università: Italia o estero?

Sono sempre di più i giovani italiani che decidono di lasciare il loro Paese per intraprendere un percorso di studi all’estero. Fanno parte, insieme a coloro che emigrano per cercare lavoro, dei 4.811.163 italiani che, al 1 gennaio 2016, risultano iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), pari al 7,9% dei 60.665.551 residenti in Italia (dati Istat al 1 giugno 2016). La percentuale è minima, tuttavia il trend è in continuo aumento (+3,7% dal 2015).

Tra le mete privilegiate dagli studenti italiani ci sono sicuramente Inghilterra, Francia, Germania e, con percentuali sempre crescenti, Spagna; invece tra i paesi extraeuropei più gettonati ci sono gli Stati Uniti. Esistono diverse esperienze di studio all’estero: il primo passo è spesso l’Erasmus, seguito, in alcuni casi, da master e dottorandi in paesi stranieri. L’esperienza di studio all’estero è una grande opportunità per conoscere nuove realtà e culture, ampliando i propri orizzonti; non dovrebbe diventare l’unica possibilità per costruirsi un futuro sicuro e migliore di quello a cui si andrebbe incontro nel proprio Paese. Differenti sono le motivazioni che spingono i giovani a optare per l’esperienza di studio lontano dall’Italia: alcuni ritengono che nei Paesi stranieri ci sia un sistema di istruzione più funzionale a un futuro lavorativo e maggiori opportunità, rispetto all’Italia; altri rimangono positivamente colpiti dall’esperienza del quarto anno di liceo all’estero, altri ancora non riescono a entrare in alcune facoltà a numero chiuso e, per non rinunciare ai propri sogni, si trasferiscono dove la loro iscrizione è assicurata.

Noi abbiamo avuto la possibilità di ascoltare l’opinione di Gabriele, un ragazzo ventenne italiano, che vive e studia negli Stati Uniti da ormai quattro anni.

Dove e quale università stai attualmente frequentando?

Adesso ho finito il secondo anno al West Valley College, vicino a Saratoga nella Silicon Valley, California. A settembre inizierò il terzo anno, cioè il mio percorso di specializzazione, quindi mi trasferirò alla University of California, Los Angeles (UCLA).

 

Cosa studiavi in Italia?

In Italia frequentavo il liceo scientifico a Milano. Il quarto anno ho avuto la possibilità, anche economica, di studiare all’estero e sono rimasto molto soddisfatto del sistema scolastico americano. Così ho deciso di trasferirmi negli USA per terminare il liceo e iscrivermi poi all’università.

 

Com’era il tuo livello di inglese prima di trasferirti negli Stati Uniti?

Sarò sincero: non buono. Tuttavia la lingua non è mai stata un problema, l’importante è ascoltare bene gli altri. Settimana dopo settimana inizi a comprendere sempre di più. Inoltre sono sempre stati tutti molto gentili e disponibili ad aiutarmi.

 

Perché hai fatto questa scelta?

Innanzitutto, come ho già detto, ho molto apprezzato il sistema scolastico americano: nonostante alcune inevitabili differenze, c’è continuità nella transizione dal sistema della scuola superiore a quello del college. Poi nella Silicon Valley la tecnologia e l’ingegneria sono ai massimi livelli ed essendo il mio campo, è stata per me una grande opportunità poter studiare qua: sei circondato dall’innovazione e ci sono moltissime opportunità di lavoro. Io ho sempre amato gli Stati Uniti e, vivendoci, ho la sensazione che le mie ambizioni non abbiano i limiti che, invece, già al liceo, in Italia, si ponevano sul mio percorso.

 

Qual è la tua esperienza a livello di università?

Ho scelto il mio corso di laurea e frequentato i corsi. Il primo e il secondo anno sono soprattutto di “educazione generale”, con corsi relativi al tuo percorso ma anche materie generiche, come ad esempio inglese, alla base di tutti i corsi di laurea. Dal terzo anno gli esami diventano più specifici, anche se c’è comunque la libertà di dare esami a scelta in base al proprio campo. I corsi sono tutti basati su esami parziali, dopo i quali si arriva a dare l’esame finale. Un fattore importante che condiziona il voto finale sono le ricerche e i compiti obbligatori che gli studenti sono tenuti a svolgere.

 

In Italia molte facoltà sono a numero chiuso, e negli USA?

Negli Stati Uniti non sono le facoltà ad essere a numero chiuso, ma le università stesse. Bisogna mandare la richiesta all’università: è necessario rispondere a una serie di domande poste dall’università che verranno poi valutate; inoltre si tiene molto conto delle esperienze extra scolastiche. L’arrivo delle risposte è un momento molto importante nella vita dei ragazzi americani, è parte della loro cultura.

 

Com’è il rapporto studenti – professori negli States?

Nei college, che sono più piccoli rispetto alle grandi università, c’è un rapporto più stretto con i professori: c’è interazione tra professori e studenti durante le lezioni e inoltre, durante le “ore di ufficio”, i professori mettono a disposizione il loro tempo dopo le lezioni per rispondere a dubbi e domande degli studenti. Nelle università, che arrivano a diventare delle vere e proprie piccole città ospitando sui 36.000 studenti, con corsi frequentati anche da 100 studenti, viene meno il rapporto uno a uno con i professori. Viene tuttavia recuperato quando si sceglie la propria specializzazione. Mi rendo comunque conto che 100 o più studenti in Italia sono la norma e quindi non potrebbe essere possibile uno stretto rapporto tra professori e studenti.

 

Quali sono le tue intenzioni dopo la laurea?

Avendo deciso di non prendere la mini laurea dopo i due anni, io mi laureerò in quattro anni e mezzo. In seguito, attualmente, le mie intenzioni sono di cercare lavoro negli Stati Uniti, dove ho maggiori opportunità di crescita personale e aziendale. Comunque terrò conto di come sarà in futuro la situazione in Italia: non è del tutto escluso un possibile, se ben per ora remoto, ritorno a casa.

 

Qual è, a tuo parere, una delle maggiori differenze tra il sistema di istruzione italiano e quello americano?

Sicuramente una delle principali differenze è la qualità del sapere. Negli USA si punta molto sul sapere pratico, mentre in Italia viene dato spazio maggiormente al sapere teorico. In questo modo il sistema italiano fornisce un’elevata formazione culturale, ma mantiene le distanze da una solida preparazione per il mondo del lavoro. Ad esempio i miei corsi prevedono un certo numero di ore di laboratorio e gli esami sono finalizzati ad aspetti pratici dell’ingegneria.

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