Una superba illusione: “Ghost stories”

«La mente vede solo quello che vuole vedere»

Inizia in questo modo Ghost stories, horror scritto e diretto da Andy Nyman e Geremy Dyson, stessi autori dell’omonima pièce teatrale dalla quale è tratto il film. Phillip Goodman (Andy Nyman) è un professore di psicologia conosciuto per il suo programma televisivo Truffe paranormali, dove falsi sensitivi vengono smascherati in nome della giustizia e del raziocinio. Un giorno Goodman viene contattato per indagare su tre casi apparentemente irrisolvibili che metteranno a dura prova le sue ferme convinzioni sull’inesistenza del paranormale.

I registi hanno creato una pellicola, dalle inquadrature sfocate e dalla musica che rende l’atmosfera tesa e angosciante, in cui il jump scare riesce a conciliarsi ad una narrazione psicologica più approfondita. Ghost stories è un film antologico, composto da più storie. L’attore Paul Whitehouse interpreta un guardiano notturno con dei problemi con l’alcool causati dalla sua straziante condizione familiare. Alex Lawther, attore già conosciuto tramite Black mirror e The end of the f***ing World, veste i panni di un ragazzo fragile che rimane con la macchina in panne nel bel mezzo di una minacciosa foresta. Infine, troviamo Martin Freeman, il cui personaggio è un ricco agente di borsa che racconterà al professor Goodman della travagliata gravidanza della moglie.

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Da un punto di vista tecnico la creazione della tensione nel film è stata curata nel minimo dettaglio, inquadratura dopo inquadratura, riuscendo a trasmettere una paura genuina anche allo spettatore più abituato al classico jump scare. Le musiche composte da Haim Frank Ilfman enfatizzano a tal punto ogni scena della pellicola che si può sentire fisicamente la tensione e l’angoscia nella sala; l’atmosfera diventa sempre più conturbante grazie al connubio ben riuscito tra colonna sonora e trama del film. Ghost stories però non vuole essere un semplice horror, vuole raccontare una storia profonda dove i vari personaggi rappresentano delle paure universalizzate nell’uomo; gli snodi narrativi vengono arrichiti da un forte simbolismo sia negli oggetti, presenti nelle varie scene, sia nei fatti che avvengono durante il film. Philip Goodman compie un percorso all’interno della sua stessa mente per capire fino in fondo la parte più oscura dell’uomo e della sua realtà fatta di dilemmi frustranti, sensi di colpa e scheletri nell’armadio.

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Oltre a questi considerevoli contenuti il film risulta un ottimo esercizio di stile da parte dei registi Nyman e Dyson, infatti, non si riesce mai a capire se tutto ciò che accade è frutto della mente dei personaggi o è testimonianza diretta dell’esistenza del sovrannaturale. La frase iniziale non si limita alla storia della pellicola, coinvolge chi guarda il film nel creare ipotesi su ipotesi per prevedere la conclusione del racconto. Il ritmo incalzante del film tiene lo spettatore incollato alla poltrona per tutta la sua durata. Tutti gli attori, grazie alle loro buone interpretazioni, riescono a lasciare una sfumatura differente a ogni racconto, i cui intrecci sfociano in un finale che propone delle riflessioni per niente scontate.

Ghost Stories

La pellicola di Nyman e Dyson riesce a coniugare un formato ricco di tensione e più scenico con uno snodo narrativo angosciante che dalla sfera personale riesce a universalizzare il concetto di paura e di senso di colpa in maniera egregia. Per questi motivi possiamo dire che Ghost stories, oltre a riconfermare gli alti livelli che il suo genere può raggiungere, ha tutte le carte in regola per essere considerato uno dei film horror meglio riusciti degli ultimi anni.

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