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A una settimana dal NO

Domenica 4 dicembre il NO vinceva al 60%; domenica 11 è stato nominato il nuovo governo. Una settimana intensa per il Presidente della Repubblica che ha dovuto prendere atto delle dimissioni e affrontare solo contro tutti la frenesia del Palazzo che si stava consumando nell’attesa di una sua decisione. Ecco dunque le tappe principali del percorso seguito da Sergio Mattarella nella transizione da Matteo Renzi a Paolo Gentiloni.

Non era iniziata la settimana che il governo si era sgretolato sotto i piedi del Presidente della Repubblica. Domenica sera Renzi aveva annunciato che avrebbe consegnato le proprie dimissioni e lunedì si preparava un primo incontro informale tra Presidente e Primo Ministro uscente. Mattarella non faceva mistero della sua volontà di affidare l’incarico nuovamente a Renzi, così da mantenere un governo certamente non solido ma quantomeno stabile per permettere all’Italia di affrontare tutte le sfide internazionali in preparazione per il prossimo anno. A cominciare dalla riunione del Consiglio d’Europa fissato per il 15 dicembre. Mantenere dunque il governo fino alla fine naturale della legislatura era la soluzione migliore, anche per risparmiarsi volentieri tutto il lavoro di consultazioni che generalmente segue una normale crisi di governo.

Per questo, lunedì il Presidente ha chiesto al Primo Ministro di congelare le proprie dimissioni, se non per sempre almeno nel breve termine, fino all’approvazione della legge di bilancio. Detto, fatto, tutti i partiti eletti in Parlamento, soprattutto i sostenitori del NO che volevano un ritorno immediato alle elezioni, hanno messo il piede sull’acceleratore e la legge di bilancio è stata discussa e approvata in tempi record.

Così dunque Renzi si è ripresentato sull’uscio del Quirinale, con i fogli ufficiali firmati. Mattarella non aveva più appigli, ha accettato le dimissioni alle 19.00 del 7 dicembre e convocato le consultazioni per la mattina successiva. Ad aprire le danze i Presidenti di Camera e Senato, seguiti da un grande ex, il Presidente emerito Giorgio Napolitano, e poi in ordine tutte le delegazioni dei partiti eletti in Parlamento e i rappresentanti dei gruppi misti. Le possibilità che si sono presentate al Presidente erano molteplici ma non tutte auspicabili. Il nuovo governo poteva essere uno di tipo istituzionale, in cui la carica veniva affidata ad uno dei due Presidenti delle Camere, uno a scelta tra Laura Boldrini (Camera) o Pietro Grasso (Senato); poteva essere un governo di tipo politico dando l’incarico ad uno dei Ministri già nominati (infatti sono partite le scommesse per il successore, in testa Padoan, Delrio o Gentiloni). Infine poteva essere un governo tecnico, la carica veniva conferita ad un esperto del settore capace per conoscenze di risolvere la crisi di governo e portare il paese indenne fino all’aprile 2018. Ma siccome le ferite del governo Monti devono ancora rimarginarsi, quest’ultima soluzione era forse la meno probabile.

Ai piedi del Colle però il clima tra gli esponenti politici sostenitori del NO aveva già un sapore di campagna elettorale. “Hai visto mai che succede il miracolo, meglio essere pronti”. Così Luigi di Maio, probabile candidato Premier del Movimento, si è fatto una sequela di interviste su tutti i principali network internazionali che nemmeno le star sul red carpet sono così sul pezzo. Di Maio era ovunque a ripetere circa più o meno quello che è stato il leitmotiv del post-voto: cercare di capitalizzare il risultato del referendum per guadagnare favore a fronte di un governo sconfitto e al contempo di guadagnare terreno in vista di una (improbabile) elezione anticipata. La destra, poi, si è compattata e divisa più volte a seconda di quale delle possibili soluzioni era più probabile. Tanto che il risultato è che i leader dei capigruppo dei vari partiti di destra (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) si riuniranno per trovare un accordo sulla legge elettorale, nonostante Berlusconi sembrasse caldeggiare un governo PD ad un certo punto delle consultazioni. A sinistra invece la situazione è stata meno effervescente: tutto il PD ha fatto la spola tra Quirinale e riunione di Direzione, il PSI (socialisti) erano favorevoli ad un governo Renzi-bis mentre Sinistra Italiana vorrebbe un governo rappresentativo della decisione della popolazione.

Anche se la richiesta delle elezioni anticipate proveniva da più parti, non tutti era in accordo sulla legge elettorale appropriata. Anzi, forse è stata questa la settimana ideale del brainstorming per delinearne una nuova. Attualmente esistono due leggi elettorali, una per la Camera, l’Italicum, e una per il Senato, il Consultellum, ovvero il Porcellum (nota anche come legge Calderoli) rivisto e corretto dalla Corte Costituzionale (una sentenza della Corte ha abrogato alcune disposizioni della legge ritenute incostituzionali). Il M5S e la Lega Nord vogliono andare al voto dopodomani quindi insistono sul mantenere la legge che già c’è, ovvero due sistemi per le due Camere; Forza Italia invece propone un sistema unico basato sul proporzionale con una soglia di sbarramento diversa e un piccolo premio di maggioranza (un modo per impedire a Berlusconi di doversi alleare con la Lega Nord e perdere completamente il proprio potere negoziale). Molto complessa la situazione a sinistra, ma soprattutto nel PD. Renzi già voleva cambiare la legge elettorale prima del referendum, aveva proposto una soluzione che affidasse un enorme premio di maggioranza anche a partiti che non era propriamente rappresentativi in modo da costituirsi un esecutivo stabile, ma viste le opposizioni e i necessari consensi da riottenere per tentare di vincere il referendum, Renzi si è visto obbligato a ritrattare e alla fine ha ceduto il discorso sulla legge elettorale. La corrente minoritaria del PD, invece, vorrebbe tornare al Mattarellum, la legge proposta dall’attuale Presidente della Repubblica quando era un esponente della DC, rimasta in vigore dal 1993 al 2001, che prevedeva un sistema misto tra proporzionale e uninominale.

Insomma, tre giorni fitti di appuntamenti in cui ognuno dice la sua e esprime i limiti sui compromessi ai quali è disposto a scendere. Alla fine la consapevolezza del fatto che il NO non rappresentasse una vera maggioranza ha permesso a Mattarella di affidare l’incarico alla maggioranza già presente, quella eletta del PD. Quindi il Presidente è rimasto saldo nella propria decisione, ha scelto quello che in fin dei conti aveva già deciso quando aveva chiesto di congelare le dimissioni, ovvero ri-affidare l’incarico a Renzi, anche se non poteva essere Matteo stesso doveva essere uno dei suoi fedeli. Per questo motivo Francheschini è stato quasi subito bocciato e i nomi in gara sono rimasti due: il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan o il Ministro degli Esteri Gentiloni. Alla fine ha vinto quest’ultimo, considerando che forse Padoan rappresentava un richio troppo elevato di cadere in un governo tecnico. Gentiloni ha accettato l’incarico per senso di responsabilità e con riserva, nel senso che vuole governare all’interno della maggioranza di Renzi, quindi deve valutare bene la situazione.

Mentre Renzi si preparava al trasloco, pubblicando messaggi nostalgici dei suoi mille giorni a Palazzo Chigi, il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno iniziato a manifestare il proprio sdegno nei confronti della scelta di Mattarella. Il sentimento di usurpazione, di essere stati presi in giro, in quanto vedono in Gentiloni un politico troppo facilmente manipolabile da Renzi stesso, regna sovrano nei gruppi di opposizione, tanto che sia Lega che M5S (ma anche Sinistra Italiana) hanno detto di non voler partecipare alle consultazioni di Gentiloni, men che mai di sostenerne il governo. Il M5S minaccia l’Aventino e le manifestazioni in piazza.

Si intuisce già il clima tranquillo e rilassato, l’apertura al dialogo e al compromesso della settimana prossima. Ma ormai il problema è quello di Gentiloni, il Presidente Mattarella ha fatto quello che doveva fare e si ritira sul Colle. Sta dunque al nuovo Premier avviare e portare avanti nuove consultazioni, assegnare gli incarichi, scegliere i nuovi Ministri e farsi dare la fiducia dalle Camere.

Mattarella deve solo aspettare, ma tanto, comunque vada, tutto questo ricomincerà presto.

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