PaviaScienza

Una questione di famiglia: la lotta alle malattie cardiache a Pavia

di Claudio Cesarano

 

L’arresto cardiaco, negli ultimi mesi, è stato protagonista prima delle cronache sportive e poi della campagna 30 Ore Per la Vita che intende dotare le scuole e gli impianti sportivi italiani di defibrillatori. Oltre ad un’inchiesta, che troverete nel prossimo cartaceo, sulla diffusione di defibrillatori a Pavia e sulle iniziative per migliorare l’attività di pronto soccorso, Inchiostro ha contattato il Centro per le Malattie Cardiovascolari Genetiche di Pavia che rappresenta un’eccellenza del nostro sistema sanitario sia per la sua attività di ricerca sia per il particolare tipo di assistenza che fornisce al paziente integrando il lavoro di vari specialisti. Abbiamo discusso con la direttrice, la Dott.ssa Eloisa Arbustini, dell’attività del centro, di diagnosi e diffusione delle malattie e della sicurezza sui campi sportivi dopo le morti di Bovolenta e Morosini.

 

Inchiostro – Come funziona il centro? Chi si rivolge a questa struttura?

Dott.ssa Eloisa Arbustini – Si rivolgono a questa struttura singole persone o più spesso famiglie in cui ricorre una malattia cardiovascolare identica che, quindi, ha molto verosimilmente una base genetica trasmissibile. Sono di solito famiglie già provate da eventi tragici di morte improvvisa o i cui membri hanno subito un trapianto di cuore, una rottura di aorta o problemi cardiovascolari molto severi. A queste famiglie diamo un inquadramento della loro patologia sul piano clinico e sottoponiamo tutti i membri a screening per capire se anche chi non mostra sintomi è portare della malattia. In seguito effettuiamo dei test clinici per identificare la causa genetica ed avviamo di conseguenza i percorsi terapeutici e di monitoraggio sulla base delle conoscenze più avanzate di cui disponiamo oggi.

Quante famiglie seguite attualmente?

Sono più di 3500 e vengono da tutto il territorio nazionale (40-45% dalla regione), ma cominciano a venirne anche da paesi adiacenti al nostro. Di solito queste famiglie sono state indirizzate da colleghi che sospettano la presenza di una malattia genetica. La procedura è semplice: si contatta il centro, si manda via email o fax la documentazione clinica della singola persona o dei parenti per permetterci una valutazione preliminare e poi viene fissato un appuntamento.

Quanto si riesce ad andare indietro nel rintracciare l’origine della malattia?

Dipende molto dalla capacità di narrativa dei singoli membri che giungono da noi e da quello che sanno della loro famiglia, spesso disgregata o divisa. Nella migliore delle ipotesi si va indietro di 3-4 generazioni ma spesso ci dobbiamo limitare ai parenti più stretti. A volte in famiglie devastate da decessi si è costretti a lavorare sull’unico superstite.

Tra le varie malattie genetiche cardiovascolari possiamo individuare alcune costanti?
La maggior parte di queste malattie colpisce la fascia giovane-adulta, mentre nell’età pediatrica non sono molto frequenti per fortuna. Altra caratteristica comune è che nel 90% dei casi sono malattie a trasmissione autosomica dominante, cioè si trasmettono di genitore in figlio con una probabilità del 50% ad ogni gravidanza. I sintomi invece sono molto diversi, ma individuata la causa abbiamo uno strumento molto potente perché riusciamo con un semplice test su un campione di sangue ad individuare chi della famiglia è predisposto a sviluppare questa malattia e possiamo quindi cercare di rallentare la progressione delle malattie che vanno verso il trapianto.

Quali sono i campanelli di allarme della presenza di una malattia cardiovascolare genetica?
In molti casi, purtroppo, la morte improvvisa di un familiare è il campanello di allarme per la famiglia. Ma ci sono anche casi in cui si può sospettare una malattia già soltanto vedendo la persona: ad esempio nella Sindrome di Marfan i pazienti sono tipicamente molto alti rispetto alla media, hanno delle caratteristiche scheletriche particolari e problemi agli occhi. Poi ci sono le aritmie maligne che possono portare alla morte improvvisa: sicuramente un evento importante può essere una sincope inspiegata in un giovane, un primo segno per rivolgersi ad uno specialista ed in secondo luogo ricorre ad uno studio genetico.

Può bastare un elettrocardiogramma?

L’elettrocardiogramma è molto importante: costa poco e dice molto di più di quello che si possa pensare. Per una corretta valutazione è necessario, però, vederne diversi in successione: a volte negli atleti succede che hanno ricevuto l’idoneità un anno e l’anno dopo si trovano in controlli successivi con modifiche del loro elettrocardiogramma e che emergono nel monitoraggio. All’elettrocardiogramma in casi sospetti vanno poi aggiunti altri controlli secondo prescrizione del medico: un holter di ventiquattro ore, un ecocardiogramma una TAC ecc. Ci sono però anche delle malattie che non si vedono con l’elettrocardiogramma e che restano occulte sul piano clinico.

Quali sono i tipi di terapia necessari?

Ogni malattia ed ogni fase della stessa malattia ha il suo profilo terapeutico: un’aorta che si sta rompendo va trattata chirurgicamente mentre una in dilatazione si può agire coi farmaci e tenere la dilatazione. Un cuore che sta sviluppando una cardiomiopatia e si sta dilatando ha delle esigenze diverse che nella fase finale dello scompenso. Le cardiomiopatie colpiscono il tessuto del cuore e sono le malattie genetiche che portano più spesso al trapianto, in molti altri casi si cerca di intervenire prima con delle cure farmacologiche.

Esistono altri centri del genere in Italia?

Il nostro centro è inserito in un network europeo coordinato proprio da noi e ci occupiamo anche di un progetto europeo in cui cerchiamo di sostenere la nascita di centri come il nostro interamente dedicati alle famiglie e che garantiscono un’alta specializzazione. Chiaramente coi costi della Medicina di oggi non possiamo pretendere che questi centri pullulino, anche perché queste malattie non sono frequenti come l’infarto, ma si attestano intorno ai 200.000 malati. Qui serve soprattutto specializzazione e multidisciplinarità: il nostro centro fornisce un modello assistenziale diverso perché mette al centro il paziente e non la disciplina: non è il malato che deve andare a cercare gli specialisti, siamo noi che forniamo un percorso medico completo salvando anche molte risorse sia per il paziente stesso che per il sistema sanitario nazionale. Solitamente nell’arco di una giornata mettiamo assieme più specialisti a seconda delle necessità evidenziate durante la visita preliminare: il cardiologo, il genetista, l’ ortopedico interagiscono tra loro per assistere il paziente che in 6-7 ore riesce a fare ciò che normalmente richiederebbe una lunga pianificazione. Abbiamo, poi, molte richieste di collaborazione dall’estero: un collega giapponese è venuto qui ad imparare le nostre tecniche e l’anno scorso abbiamo avuto una dottoressa americana che è stata qui un anno

Il mondo dello sport ha discusso molto negli scorsi mesi di sicurezza in campo. Cosa pensa della vicenda di Evander Sno che, dopo essere stato salvato in campo dal pronto utilizzo di defibrillatori, continua oggi a giocare con un mini defibrillatore impiantato sotto pelle?

Esistono delle linee guida generali dettate dalla Società Europea di Cardiologia in cui è scritto con precisione chi può fare cosa: la decisione di portare un impianto del genere sotto pelle non deve portare necessariamente al fermo della persona. Ogni paese ha poi le sue regole e credo che continuare un’attività sportiva in queste condizioni in Italia sarebbe un po’ più difficile visto che il nostro sistema è molto rigoroso. Capisco comunque che un giocatore professionista tragga il suo sostentamento dall’attività sportiva e che è una questione molto personale: tutto ciò che è genetico appartiene alla sfera privata della persona, quindi se lei è uno sportivo maggiorenne e le viene diagnosticata una malattia del genere io non posso informare né la sua società sportiva né nessun altro.

Quale pensa sia il livello di efficienza del pronto intervento a Pavia e dintorni?
Credo che il livello di capillarità ed efficienza sia veramente molto elevato non solo a Pavia ma anche nella regione Lombardia che ha mostrato una grande attenzione al problema. Abbiamo un’azienda regionale che organizza e raccoglie tutti i servizi di pronto intervento sul territorio lombardo. I pazienti che sono stati resuscitati dall’intervento del 118 – ed io ne seguo alcuni – possono essere recuperati se l’arresto è testimoniato e se viene chiamato il 118 prontamente e correttamente o se c’è un sistema di defibrillatori con personale che lo sappia utilizzare: in questo senso c’è una forte attività formativa da parte della Regione Lombardia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *