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Una fenice di tre minuti: l’intervista a Rodolfo Gusmeroli

“Siete mai vissuti nel buio più totale? No, non mi sto riferendo alla semplice assenza di luce; quello che sto chiedendo è: «Sapete cosa vuol dire “Inconsapevole, completa alienazione dal Mondo e da se stessi”?». Io sì.”.

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La fenice, altresì nota come “Araba fenice” od “Uccello di fuoco”, è una creatura mitologica, nota per la sua capacità di rinascere, dopo la morte, dalle proprie ceneri. “Fenice” è anche il calzante titolo del cortometraggio, della durata di 3 minuti e 18 secondi, che ha trionfato, nella Sezione Giovani, alla prima edizione del Concorso internazionale di cortometraggi “Cinema ed inconscio”, indetto dall’Associazione internazionale ontopsicologia (A.I.O.). La celebrazione, avvenuta tra il 20 ed il 23 luglio, ha avuto luogo nel comune umbro di Campello sul Clitunno, in provincia di Perugia. Fenice, e i suoi autori, con la vittoria, si sono aggiudicati un meritato premio di 1500 €. Per maggiori informazioni sul Concorso, clicca qui.

3“Le lancette, dita crudeli, continuavano a schiacciare i minuti, come fossero insetti. Provai, lo giuro, provai davvero a staccare gli occhi da quella che, improvvisamente, sembrava esser diventata la prova tangibile della mia passività. Quanti giri doveva aver compiuto quel dannato orologio! Quanti minuti avevo sprecato senza sentir qualcosa?”.

Per questa prima edizione, il tema del Concorso è stato Live to be”, e Fenice  (scritto da Federica Di Flumeri, e realizzato in circa due settimane) ha, per certo, centrato l’obiettivo: in poco più di tre minuti, lo spettatore è trasportato, letteralmente, dal buio alla luce; dal travaglio di un protagonista senza nome (interpretato, ottimamente, dal fotografo ed attore Paolo Talamonti) – col quale, forse, non è così difficile empatizzare – alla sua prise de conscience.

aAd accompagnarci sono le immagini ieratiche di una Natura incontaminata e potente, viva; un’origine primigenia, al quale il protagonista fa ritorno, ritrovando se stesso. Un voice-over continuo veicola la riflessione psicologica del protagonista, conducendoci, come per la fenice, dalla morte alla rinascita. Il pregio di Fenice  (realizzato a “budget zero”), a nostro parere, è la capacità, col suo portato, d’infrangere l’individualità della narrazione; Fenice  racconta la parabola edificante di un singolo, con l’evidente pretesa d’aspirare ad un messaggio più universale: un inno positivo, sociale, che merita d’esser cantato. Senza dubbio, inoltre, le musiche – calibrate, e realizzate da Andrea Guarinoni – sostengono armoniosamente lo svolgimento del corto; nel quale, oltre le brevi apparizioni di Vittoria Galante Proserpio e Marco Bottelli, vediamo un cameo anche del regista, Rodolfo Gusmeroli.

“Ognuno di noi, fino all’ultimo alito di vita, ha la possibilità di realizzare se stesso, di seguire la strada più pura, la strada originaria: tutto sta nell’iniziare.”.

4Figlio di una pittrice, Rodolfo Gusmeroli, appena ventenne, è un giovane regista emergente (e grafico), cresciuto ad Arona (in provincia di Novara), sul Lago Maggiore; ci ha raccontato di essersi avvicinato alla Settima Arte durante il liceo (soprattutto, tramite i film di Quentin Tarantino), dopo aver vissuto una grande passione per il disegno ed il fumetto. Come spesso accade, Rodolfo inizia in giovanissima età le sue prime esperienze con la macchina da presa, realizzando, con mezzi “rudimentali”, piccoli video e clip  musicali “amatoriali”. Ora, l’autore aronese, dopo un’ardua selezione, frequenta la Scuola di Regia alla Rboma film Academy, l’accademia di Cinema e Televisione sita nei celebri Cinecittà Studios. Rodolfo ci ha spiegato che Fenice  è stato, per lui, l’“esordio alla regia”, essendo il suo primo cortometraggio “ufficiale”; è stata un’impresa non da poco realizzarlo, fra location differenti (Lago Maggiore, Mottarone, Lago di Mergozzo, e non solo), tempi strettissimi, nessun fondo a disposizione (o quasi), più persone da coordinare (provenienti da luoghi diversi), un infausto ritiro della patente (proprio quando si è diretti a girare), nonché pioggia incessante (di certo, non ottimale per le riprese esterne). Fortunatamente, col senno di poi, gli sforzi sono stati ripagati.

Rodolfo ha affermato che le sue influenze cinematografiche sono, com’è normale, plurime e disparate; fra gli autori più attuali, apprezza molto registi come Guy Ritchie (Snatch; 2000) o Xavier Dolan (Mommy; 2014), e gli italiani Gabriele Mainetti (Lo chiamavano Jeeg Robot; 2015), e Fabio Guaglione e Fabio Resinaro (Mine; 2016). Il giovane regista – che vorrebbe inserirsi in un filone cinematografico di satira sociale, di black humor, un po’ “alla Coen” – s’è dichiarato propositivo verso la situazione della più recente “macchina del Cinema italiano”, convinto che gli spazi ci siano, e, sempre di più, si stiano aprendo, anche per autori emergenti.

La nostra speranza non può che essere questa: che giovani come Rodolfo, in Italia, possano avere la possibilità di fare della loro passione, del Cinema, un lavoro.

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