Attualità

Sotto il Monti niente

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Ci sono stati quelli che hanno davvero creduto che un governo di professori potesse invertire la rotta e quelli che non hanno mai avuto fede. Ma ci sono stati anche quelli che sono stati a guardare, ottimisti ma critici, che ad oggi si ritrovano, informati sugli ultimi sviluppi economici e sociali del nostro paese, senza più capire, arrivati a questo punto, chi possa mai avere il potere di riformare seriamente questo stato. E per “seriamente” s’intende una di quelle inversioni di marcia da film, quelle che si fanno con il freno a mano, sui due ambiti che davvero contano: la politica fiscale e quella economica.
Se è consolante il fatto che le alternative sarebbero state peggiori, meglio disilludere i sognatori: quelle alternative non sono affatto svanite, anzi, si preparano per essere il futuro, visto che tra poco si andrà a votare. Sono vive, e (non) lottano insieme a noi.
Davvero ci eravamo illusi che con un debito pubblico di due triliardi di euro – ancora oggi in crescita – avremmo avuto una tregua con i competitori esteri? Davvero non avremmo mai immaginato che l’aumento incondizionato delle tasse avrebbe avuto conseguenze depressive? Davvero possiamo, in definitiva, dirci soddisfatto di un Mosè giunto a guidare un popolo che ora perde il suo seguito per strada e al posto di dividere il Mar Rosso lo aggira? Che malgrado l’autorità e l’ascendente che porta con sé teme di stroncare l’adorazione di feticci del passato? Che si rimette ai capricci dei partiti il cui consenso è ai minimi storici?
Sorprende la marcia indietro sull’articolo 18. Perché di marcia indietro si tratta, chi lo nega vada a rivedersi i discorsi fatti un mese fa e quello di ieri. Sorprende che le liberalizzazioni da promessa rivoluzione si siano rivelate carezze “da integrarsi successivamente con ulteriori misure”. Sorprende l’esenzione fiscale delle fondazioni bancarie, come se il loro operato fosse più importante di quello che svolge la Chiesa, che invece è stata tassata dove deve esserlo. Sorprende che le caramelle distribuite dai politici che Fornero ha sostituito con botte dolcificate ad hoc (ad hoc: per chi un lavoro ce l’ha, s’intende; per gli esodati e per i discoccupati ancora nulla, al massimo un po’ di speranza condita di fiducia – che non sono la stessa cosa). Sorprende la piazza vuota nonostante il massacro fiscale, del quale si avrà coscienza all’arrivo dell’esattore. Sorprende che al sacrificio chiesto ai cittadini su tasse e pensioni per diminuire il debito pubblico non ne corrisponda uno – per motivi, oltre che di decenza, di necessità evidente – statale. Sorprende che nessun paladino dello stato etico sussurri almeno una parola sulla sospensione dello stato di diritto a fini di propaganda e ottenimento del consenso. E’ su tutto questo – o quasi tutto – che aprono in questi giorni il Financial Times e il Wall Street Journal, e prima di loro l’aveva fatto l’Huffington Post. Perché le premesse soggiacenti al primo decreto varato dal governo oggi in carica si basava sull’assunto dell’azzeramento del deficit il prossimo anno. Che non ci sarà, nonostante i sacrifici. Ergo, la situazione è destinata ad aggravarsi con una seconda manovra. Il fatto che nessuno in Italia ne parli in modo chiaro è sintomo o di ipocrisia o di convenienza.

Le ricerca del consenso continua, imprescindibile. O come ricerca di appoggio in cerca di una rielezione; o la ricerca di tranquillità in vista di ulteriori riforme per mostrare una via che andrebbe poi continuata dalla politica tradizionale, che comunque non ha la fiducia dei cittadini e che si prepara alla campagna elettorale nel clima peggiore dagli anni ‘90. Qualunque sia il motivo, la ricerca del consenso di questo governo atipico si è finora caratterizzata dall’adozione di una strategia non proprio innovativa: tirare la corda finché si può, ma non troppo. In sostanza, si articola nell’annuncio della svolta, il sondaggio degli umori, il ridimensionamento della misura effettivamente approvata in base agli umori maggioritari. Che poi maggioritari non sono, essendo in realtà gli orientamenti di chi ha più possibilità – il nome e gli spazi – di far sentire le proprie urla. Di parlare di tensioni sociali che già, evidentemente, ci sono: non nella forma a cui il catalogo dei nostri ricordi (o coscienza storica) di italiani rimanda, non come un lo spettro degli anni di piombo o i moti sessantottini, che non sono tornati e non torneranno. Basta leggere giornali e guardare televisioni per capire che i suicidi, quando raggiungono il numero di uno al giorno diventano tensione comune: sociale, appunto. A meno che non si commetta l’errore di credere che il tormento che accomuna le vittime sia loro e solo loro.
Perché le urla della anziana di Gela che si getta dalla finestra, quelle di Norman disoccupato o dell’imprenditore che non riesce a pagare gli operai, quelle ci sono. E non sono isolate. Ma non si sentono. Solo dopo si conosce la notizia, si legge la loro fine, e si chiude il giornale. Sperando di essere più fortunati. Di saper scindere ottimismo e realtà. Sperando che a noi vada meglio. Anche se la storia continua. Anzi, è appena cominciata.

 

 

2 pensieri riguardo “Sotto il Monti niente

  • Vittoria E.

    Bravo scrivi veramente bene, sei sempre concreto e incisivo nei tuoi articoli.
    Mi ricordi il grande giornalista Indro Montanelli (il mio non è un rimando politico) ma solo un GRANDE COMPLIMENTO, perchè anche tu hai uno stile che riesce a smuovere gli animi e a far riflettere.

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  • Francesco

    “Che si rimette ai capricci dei partiti il cui consenso è ai minimi storici?”. Purtroppo è così; il Governo sarà pure di tecnici, ma alla fine sono sempre i politici che votano (o non votano) le leggi in Parlamento.
    Il Governo ci ha anche provato a fare le liberalizzazioni o a ridurre lo stipendio ai politici [sono solo due esempi che mi vengono in mente in questa tarda ora notturna], ma se poi il Parlamento non li approva che ci si può fare? Monti ha le mani legate: lobbisti senza scrupoli e politici moralisti (ma in realtà delinquenti) prevarranno sempre.

    Poi certo, non è che si può essere sempre d’accordo con tutto l’operato di un governo. Non esisterà MAI un governo che metterà d’accordo tutti; gli scontenti ci saranno sempre.
    Però, fatemelo dire: se la proposta politica che ci attende alle prossime elezioni è questa (scandali Lusi, Boni, Lega nord e Vendola (oggi indagato), giusto per fare degli esempi), allora lunga vita ai governi tecnici.

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