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Un sereno boicottaggio

Il caso Barilla sarebbe poco interessante di per sé, considerando soltanto come è stato raccontato dai titoli dei giornali italiani: “Mai uno spot coi gay” o “No a famiglie gay negli spot”. Niente di sconvolgente, verrebbe da dire: è una scelta dell’azienda. Di certo poi, in una settimana in cui un leghista espone un finocchio in Aula, proprio mentre si discuteva l’affaire Barilla, l’intervista del presidente di questa storica multinazionale non mi sembra di per sé il momento più avvilente per la comunità LGBT.
Eppure, è proprio analizzando il dialogo originario – come nell’articolo del mio collega Francesco Iacona – che spuntano gli elementi più interessanti e che mi portano, però, a conclusioni diverse. Il discorso di Guido Barilla parte con

«Noi abbiamo una cultura vagamente differente. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda»

Fin qui è tutto comprensibile: la linea aziendale è chiara e netta, e in fondo nessuno si aspetterebbe dalla Barilla qualcosa di diverso da un sostegno al modello tradizionale. Non per niente il prototipo di famiglia “alla Mulino Bianco”, altro marchio di casa Barilla, è sinonimo di famiglia tradizionale per eccellenza (padre/madre/figli) fino a eccessi da “ritratto del dopoguerra” (padre di corsa al lavoro/madre casalinga/figlio maschio/figlia femmina). Ma la scelta è rispettabile e mantiene i connotati della strategia di marketing basata sulla definizione di un target che esclude implicitamente un altro.

«La salute, la famiglia… Il concetto di famiglia…»

Su questo punto, incalzato da Cruciani, Barilla inizia a vacillare. Da qui in poi il rappresentante di un marchio conosciuto a livello internazionale come leader della pasta diventerà semplicemente “il signor Guido”, discutibile sociologo più che imprenditore.
Ora, prima di continuare, lascio una nota a margine: mi stupisce sempre come gli strenui difensori di un modello tradizionale – di famiglia, di società, di scuola – abbiano sempre enormi problemi nell’elencare e definire quali siano i valori tradizionali. Qualcuno provveda a stilare una guida e la distribuisca in giro, grazie!

Tornando all’intervista del signor Guido, si va subito alla deriva con frasi del tipo

«Gli omosessuali hanno diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri»

oppure

«Ognuno ha diritto a casa sua a fare quello che vuole».

Queste fanno ormai parte del repertorio di quel tipo di “omofobia nascosta” che vedo sempre più presente nella società italiana. Perché, oltre agli omofobi oltranzisti che dichiarano apertamente quanto ritengano ripugnante l’idea di due uomini a letto (sì,sempre e solo uomini e sempre e solo a letto) ci sono quelli che sono turbati dall’idea, sempre ossessivamente sessuale, di una coppia di uomini (sempre e solo uomini) ma che hanno un minimo contatto con la realtà e sanno che ormai non possono farci niente. Si definiscono “tolleranti”. Qui però risiede il complesso problema della “tolleranza”.

La tolleranza, se presa letteralmente, è un concetto odioso: presuppone la sopportazione di un qualcosa che dà fastidio o si ritiene sbagliato ma che si sa di non poter eliminare. Celebrare questo tipo di tolleranza è retrogrado. Chi si professa sostenitore delle libertà o anche di una qualsiasi forma democratica di vivere civile non lo fa a malincuore, ma appoggia tutte le differenze, anche e soprattutto quelle che non condivide o sente sue. Questo, certo, finché non deve pagare di tasca sua.
“Ognuno a casa sua fa quello che vuole, basta che non mi disturbino” è infatti la linea dell’ “omofobo tollerante” a cui va bene tutto purché “lui non venga toccato” in modi che non sono mai chiari e rasentano la paura ossessiva di uno stupro. Perché questa ossessione del “chiudere in casa”? È l’idea stessa che la vita affettiva di una persona possa essere in qualche modo fonte di disturbo ad un’altra ad essere profondamente intollerante. Odiosa e ottusa, aggiungerei. Per questo si parla sempre di omofobia, anche se – a questo punto è chiaramente una dichiarazione di facciata – il signor Guido si dichiara favorevole alle unioni omosessuali.

Il modello tradizionale, comunque, fa strage di tutto. Non solo degli omosessuali.

«La donna ha un ruolo fondamentale», dice il signor Guido. Come precisa il mio collega, la discussione parte infatti dal ruolo della donna negli spot. Tuttavia non è la donna ad avere un ruolo fondamentale nelle pubblicità. È la donna esclusivamente in quanto madre e casalinga ad avere un ruolo. Non so se Barilla sappia dell’esistenza di donne lesbiche, visto che parla di “gay” e poi di “donne”. In questo – che sia la cultura maschilista o una confusione generale nell’uso dei termini – riesce a trasformare la parola “gay” da contenitore di generi e differenze a definizione esclusiva di coppia composta da due uomini, magari uno un po’ meno uomo dell’altro per non confodersi tanto.

Che sia una questione di marketing, come ho detto, è vero solo nella primissima parte dell’intervista. Si può essere sostenitori del modello tradizionale senza dover risultare retrogradi. Ecco – a uso e consumo di imprenditori omofobi più furbi – un esempio di comunicazione per un’azienda tradizionalista sul modello Barilla:

«Noi di ***** ci siamo sempre identificati nel modello tradizionale di famiglia e abbiamo sempre rappresentato questo coi nostri spot. Tutti associano ***** a un preciso modello di famiglia e quello scegliamo di rappresentare, con tutti i suoi pregi e difetti, per una scelta di continuità con la storia del marchio che rappresentiamo. Se me lo chiede personalmente, io accetto le unioni tra persone dello stesso sesso ma non le adozioni».

Punto. Chiamatela furbizia, tatto o diplomazia. Ma di certo nell’intervista del signor Guido è mancato tutto questo. Quello che ne esce fuori, invece, è il ritratto di un imprenditore che non conosce il mercato italiano e mondiale. Sì perché, trascendendo da questioni sociali e umane, e tornando a un gretto calcolo economico, Barilla può solo piangere se stesso per il danno arrecato alla sua azienda.

Veniamo infatti alla questione boicottaggio:

«E va bene! Se gli piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, se non gli piace e non ci piace quello che diciamo faranno a meno di mangiarla e ne mangeranno un’altra. Uno non può piacere sempre a tutti perché piacere a tutti vuol dire piacere a nessuno»

Quello partito sui social network non dovrebbe nemmeno essere considerato come un vero boicottaggio – come invece quello sulla vodka russa lanciato qualche mese fa – ma un semplice “ok, accetto il consiglio,grazie!”. Il signor Guido ha candidamente invitato tutti i gay a scegliere altre marche se non piace loro il tipo di comunicazione della Barilla. Cos’è successo? La comunità LGBT dichiara di scegliere altre marche. E con loro, in sostegno, tante persone eterosessuali.

È infatti un grossolano errore di calcolo aziendale pensare che escludendo gli omosessuali dal mercato, con quel “comprino quello che vogliono, chissenfrega!”, voglia dire escludere “solo” gli omosessuali (che oltretutto sono un mercato dal peso non indifferente). Il movimento che sta portando al progresso dei diritti LGBT è composto da un fronte trasversale che prende seriamente ogni offesa e ogni posizione di rifiuto. Come ha detto Macklemore agli ultimi VMA: «Gay rights are human rights». Cosa non scontata perché, se vi interessa saperlo, fino agli anni ’70 persino i diritti delle donne non erano nemmeno considerati diritti umani.

Guido Barilla ha commesso un errore di superbia e faciloneria, ovvero i difetti di parte dell’imprenditoria italiana, così poco competitiva perché incapace di confrontarsi con la società che cambia. E questo, ripeto, non vuol dire abbracciare il “modello Ikea”: di certo un’azienda che ha fondato la sua fortuna su famiglie eterosessuali felici può rimanere fedele alla sua linea. Ma deve allora capire che i conti in tasca saranno diversi rispetto a dieci o vent’anni fa.

Ammetto, infine, di essere rimasto colpito dalla frase: «Ho capito di aver molto da imparare» pronunciata da Barilla nel suo messaggio di scuse. Anche se l’espressione, funerea, della sua faccia urla “questo messaggio è stato prodotto e approvato dalla sezione marketing”, difficilmente si sente al giorno d’oggi qualcuno di potente e ricco dire una cosa del genere. Le minacce di boicottaggio hanno avuto il loro effetto.

Comunque, se volete sapere la mia, non è nemmeno la pasta migliore in circolazione.

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