Letteratura

Un articolo è come un romanzo – Intervista al metadiscorso di Pennac

Mi sono detto più volte che avrei dovuto prendere in mano una volta per tutte Il signore degli anelli, ma pur avendolo comprato non sono riuscito a spizzicarne mai neppure una pagina. L’idiota di Dostoevskij, invece, l’assaporai per le prima sessanta pagine, il protagonista in treno e io sul divano, ma un giorno credo di averlo dimenticato sul marmo grigio del mio comodino e, alla fine, dovette certamente tornare nella libreria accanto al fratello Delitto e castigo (un mio picco di letteratura dopo la pirotecnica saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, al liceo quando tutto ciò che leggi è letteratura) e ai Fratelli Karamazov, comprati qualche anno fa in sconto del cinquanta per cento nell’edizione Garzanti, sempre ammirata (nella sua piccola e compatta presenza) e mai sfiorata, se non con gli occhi, se non con qualche pensiero, più legato al viola della coperta che alle parole, interne, mai lette. Ragazzi di vita di Pasolini l’ho regalato, La trilogia della fondazione di Asimov l’ho invece concepito come un pilastro invisibile di altri (tre) libri dello stesso autore, letti e apprezzati. Viaggio al termine della notte di Céline l’ho prestato tante volte e tante altre volte è ritornato con qualche ferita in più, nessuna profonda quanto quella di Memoria delle mie puttane tristi di Marquéz, tornato con una sacrosanta pagina in meno,
una
pagina
in meno.


dddSi tratta in sostanza di dissacrare un
 dogma: quello di dover leggere.
Un dogma scritturato in ogni copione scolastico, in ogni seminario educativo. Eppure il corsivo, da me e dal recepimento più comune posizionato sul verbo di necessità, dovrebbe schiantarsi sul
 leggere, su quello che comporta e non vuole importare: la parola (il segno che lega le parole… ) di ogni uomo si avvale delle resistenze di ogni libro, letto e non letto (sono tracce, impronte), e certo non prescinde dalla sua materialità, da quella carta pigiata assieme in chissà quale edificio immobile e neutrale, che in realtà (quale realtà?) mostra altre parti, oltre le cose scritte, oltre le cose pensate: è letteralmente sostanza, aggregazione di atomi, la stessa che per prima impatta i sensi, per consistenza al tatto, per il profumo dischiuso a pagine aperte, per il colore e per la geometria spaziate, per il suono delle pagine sfogliate.
Dalla lettura è difficile, ma necessario, chiedere niente in cambio: meglio, come da titolo, affidarci alle parole di Daniel Pennac (citerò soltanto parole sue, perciò il lettore si aspetti le virgolette come segni delle labbra appena menzionate): “resta da capire che i libri non sono stati scritti perché mio figlio, mia figlia, i giovani, li commentino, ma perché, se ne hanno voglia, li leggano.” Ecco una progressione-regressione del corsivo che si muove indeciso, ma non ritratta. Pennac non intende rinnegare la ricerca (il “qualcosa in cambio” citato in negativo precedentemente). Non lo vuole affatto. Desidera scindere: render disomogenei lo studio e il piacere della lettura, che possano poi – acquisiti come dati di fatto! – rendersi alleati, esserci per reciproca volontà. E il piacere risiede in prima istanza nel possesso: “pochi oggetti risvegliano quanto il libro il sentimento di assoluta proprietà. Caduti nelle nostre mani i libri diventano i nostri schiavi – schiavi, sì, perché di materia vivente, ma che nessuno si sognerebbe di affrancare, perché fatti di fogli morti”.
E il passaggio dal libro al lettore per lo scrittore francese è un momento già percorso: “ancor più istruttivo del modo di trattare i libri c’è il nostro
 modo di leggerli. In fatto di lettura, noi lettori ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura”. I dogmi, i comandamenti (dieci come quelli biblici) diventano autorizzazioni. Una lista mobile, poco – direi nulla – prescrittiva, che riporto, così come è scritta, nel libro citato di Daniel Pennac, Come un romanzo (Economica Feltrinelli, capitolo quattro “I diritti imprescrittibili del lettore”) con l’intento di dare inizio ad una rubrica o ad una serie di consigli, di percorsi, di sensazioni che per me, e sottolineo, solo per me hanno significato luoghi di permanenze, ricordi, riaffioranti continuamente.

1) Il diritto di non leggere.
[Che pure si parli di una “maggiorazione” dell’uomo attraverso la lettura, eppure quanti idioti sono avidi lettori e tanti uomini piacevoli non hanno mai toccato un libro!]

2) Il diritto di saltare le pagine.
[Ricordate le descrizioni pantagrueliche e goffe dei fantasy da teenagers? Ecco, quelle. Saltatele a piè pari. Come d’altronde gli arzigogoli di alcuni scrittori con l’età e la fama avanzati.]

3) Il diritto di non finire un libro.
[Diritto sacrosanto. Considerando che, nella vita, pochi libri rispetto alla immensa produzione dell’uomo è possibile leggere. Pochi. Impossibile perder tempo con l’unica biografia autorizzata di Justin Bieber o l’ennesimo romanzo di Camilleri.]

4) Il diritto di rileggere.
[Tutti hanno sperimentato il piacere di una lettura reiterata, quale quella delle favole la sera prima d’andare a dormire, la conoscenza dei fatti così come sono sempre stati, una certezza, diventa il cardine dell’equilibrio, l’appiglio di un sogno pacificatore.]

5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa. 
[Diciamocelo: chi può togliere il diritto di leggere l’unica biografia autorizzata di Justin Bieber? Nessuno, miei cari, nessuno.]

6) Il diritto al bovarismo 
[Malattia testualmente contagiosa.]

7) Il diritto di leggere ovunque.
[Storia di un corpo dello stesso Pennac lo lessi quasi interamente al bagno, come intendendolo un dovere morale di rispecchiamento “corporale” del titolo. Libro stupendo, oltretutto.]

8) Il diritto di spizzicare.
[Quello che con piacere facciamo in libreria, quando le pile di libri si stagliano come macrostrutture oltre i singoli mattoni e i nomi sconosciuti. I libri non si giudicano – sarà mai così? – dalla copertina ma da una frase, più frasi, più parole spizzicate all’interno.]

9) Il diritto di leggere a voce alta.
[E di scrittura a voce alta? Quando, prova a chiarire Dorinda Outram nel suo saggio sull’Illuminismo, è accaduto il passaggio da lettura ad alta voce e collettiva a una lettura individuale e quindi silenziosa?]

10) Il diritto di tacere.
[…]ggg

Attraverso queste permanenze vorrò scardinare la mia storia della lettura, in una scrittura che si possa leggere come proposta e come tale possa essere accolta con curiosità. Di fatto, il primo libro che vorrei consigliarvi è proprio il metaromanzo di Pennac, reperibilissimo (appena sei euro e cinquanta), esile, fragile quasi – le pagine bianche talvolta sembrano più di dello spazio marchiato dall’inchiostro nero – esile e fragile come l’uomo che, per l’italiano naturalizzato francese, “costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo”.

Legge perché si sa solo.

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