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Tutto il fascino della Logica

“L’algebra della logica nell’Ottocento”. E’ questo il titolo della conferenza tenutasi martedì 21 novembre al collegio Ghislieri, nella ricca cornice dell’aula Pio V.
Il quinto incontro del ciclo “Per la contradizion che nol consente” è stato tenuto dal Professor Minari (docente ordinario di logica e filosofia della scienza all’Università di Firenze e docente a contratto all’Università di Pavia) e si è incentrato sui principali sviluppi della logica nell’Ottocento, con una particolare attenzione alla figura di Boole.

Se nel 1788 Kant, nella seconda edizione della Critica della Ragion Pura (ReinenVernhunft) scriveva che la logica poteva ormai considerarsi una scienza certa  e conclusa, uno sguardo a posteriori ci mostra come anche ai più grandi capiti di sbagliarsi. Tra il 1847 e il 1900, si presentano sulla scena matematico-filosofica, alcuni dei più importanti pensatori della scienza logica: George Boole (1815-64), August De Morgan (1806-71), Gottlob Frege (1848 -1925) e Giuseppe Peano (1858-1932). Se per Boole, nel testo The Mathematical Analysis of logic, la logica viene ricondotta all’interno della matematica stessa; Frege, nel Beggisschrift, capovolge tale rapporto  affermando che sia la logica a sostenere l’algebra.

Ciò che accomuna l’opera di Boole, Frege e Peano è la volontà di trovare quello che Leibniz (1646-1716) aveva chiamato una Lingua Characterica (ovvero un linguaggio che fosse universale ed immune dagli errori di interpretazione o di espressione in cui può incorrere il linguaggio ordinario, mediante cui esprimere qualsiasi ragionamento) ed un sempre leibnieziano Calculus Ratiocinatur (ovvero un calcolo logico che permettesse di risalire in modo automatico, mediante calcoli oggettivi ed incontrovertibili, alla soluzione di tutti i problemi che si possano presentare al pensiero umano). E per dirla con le parole di Frege: “la logica di Boole è un calculus ratiocinatur ma non una lingua characterica; la logica matematica di Peano è prima di tutto una lingua characterica e solo secondariamente un calculus ratiocinatur. Mentre la mia ideografia è entrambe le cose con uguale enfasi.”

boole1Boole ha elaborato quindi, senza un diretto e consapevole riferimento a Leibniz, un calculus ratiocinatur.

“Potremmo fissare correttamente come carattere distintivo di un vero calcolo quello di essere un metodo fondato sull’impiego di simboli le cui leggi di combinazioni sono note e generali e i cuoi risultati ammettono un’interpretazione coerente” (The Mathematical Analysis of logic).  E proprio da queste parole trapela l’intento di Boole, inserendosi in un dibattito matematico contemporaneo sull’analisi dei simboli e dei loro rapporti a prescindere da un riferimento numerico.  Boole si propone, da un lato, di indagare le leggi del ragionamento per ricavarne indicazioni probabili sulla natura della mente umana; dall’altro di individuare un calcolo logico che, date certe premesse che esprimono relazioni tra oggetti differenti, determinare esplicitamente la relazione complessiva che ne consegue. Boole individua quindi un sistema di segni composto da lettere (x, y, z, w) e numeri (1, per indicare l’universo del discorso, ciò di cui si parla; 0 per indicare la classe vuota e la lettera v per indicare la classe indeterminata, ossia non vuota ma di cui non si conosce il contenuto) e lavora con tale sistema di segni attenendosi sostanzialmente alle leggi algebriche, limitando l’algebra alle cifre 0 ed 1. Ciò che ne consegue è un calculus ratiocinatur complicato che prevede una codificazione del problema in simboli, il calcolo vero e proprio e la decodificazione del risultato in forma di equazione.

Ecco che quindi si comprende come la logica booleana disponga di un calculus, ma non di una lingua characterica, adottando un sistema di segni e di leggi derivato dall’algebra matematica. Frege ribalterà, come già detto, tale rapporto tra algebra e logica, riuscendo a mettere a punto un sistema logico con una potenza senz’altro maggiore di quello booleano.

Per quanto l’argomento possa apparire complesso, vi è in esso tutto il fascino della possibilità di meccanizzare interamente il pensiero ed il ragionamento umano o nel riconoscere in esso qualcosa di più, che sfugga almeno in parte ad un processo calcolatorio automatico. E la risposta definitiva, nella prima metà del XX secolo, si muoverà proprio in quest’ultima direzione.

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