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“Tutto”, di Lelio Naccari: gioco o filosofia?

“Cosa vuol dire fare Metateatro?”

Lelio Naccari è un attore e drammaturgo messinese, ha studiato Scienze della Comunicazione, Spettacolo e Nuovi Media all’Università di Urbino, ha conseguito la Laurea Magistrale in Comunicazione e Pubblicità e si è formato a l’Académie Internationale Des Arts du Spectacle a Parigi. Il suo percorso è proseguito attraverso alcune Masterclass in Europa e una specializzazione in Commedia dell’Arte; ad oggi non ha ancora abbandonato la carriera dell’attore.

Lelio si è chiesto cosa voglia dire fare Metateatro e si è dato una risposta incredibilmente originale.

Quello a cui ho assistito Domenica 18 Giugno al Teatro della Memoria di Milano, sotto il progetto del Milano Off Festival, è un esperimento artistico degno di un’attenzione critica maggiore di quanto mi aspettassi.

Al centro del palco un cavalletto regge una lavagna coperta da un panno scuro, sul lato destro tre sedie, al centro l’attore: abbigliamento essenziale, volto neutrale e piedi scalzi.

Inizia scandendo in maniera chiara, con un afflato serio e sentito, le parole di un discorso fortemente intriso di filosofia: parla del concetto di materia e di assenza di materia, chiamando in causa grandi autorità intellettuali quali Platone, Plotino o la Scuola Eleatica, puntellando il discorso con efficaci metafore elaborate personalmente: le difficoltà della vita vanno affrontate come la conchiglia affronta l’invasione di un granello di sabbia, che dopo una difficoltosa elaborazione si trasforma in perla, ma solo quando si ha abbandonato lo sforzo di resistergli.

È subito Metateatro:
Scusatemi, ma questo spettacolo risulterà un fallimento, però vi prego di non andarvene subito”.

All’interno di un filo conduttore preciso, lineare, coinvolgente ed efficace prende vita una piacevolissima modalità del tutto inedita di sfondare la quarta parete: l’attore non ci rende partecipi, da canone, solo di quello che succede in scena, ma anche e soprattutto della progettazione stessa dello spettacolo in questione, espone icasticamente il significato di Metateatro, ci fa presente la maniera in cui il suo prodotto risulterà ai nostri occhi, registra le nostre reazioni, prende appunti per una rielaborazione successiva, chiama il pubblico sul palco a interagire… Cabaret? No, quello che Lelio porta sul palco riesce comunque a rimanere teatro, finzione scenica coerentemente elaborata e scandita.

Lo spettacolo prosegue mentre l’attore parla delle sue esperienze di vita, inframezzandole con citazioni filosofiche e contenuti didattici. Ma non si capisce mai fino a che punto creda in quello che dice: lo spettatore non riesce, fino all’ultimo, a cogliere se la filosofia che sta analizzando sia l’effettivo oggetto di analisi, o piuttosto la genialità stia nel peculiare modo in cui la stessa viene trattata: “Questo è uno spettacolo sul niente, l’ho chiamato Tutto perché mi hanno detto che dovevo essere incisivo, Tutto è più incisivo di Niente”, dice a inizio performance. “Non so perché per leggere questo testo ho messo gli occhiali, non ci vedo niente con gli occhiali!”.
Ogni volta che il discorso sembra serio si auto-smentisce immediatamente, con efficace autoironia: “Ho pensato: potrei fare uno spettacolo sul niente, non devo nemmeno sforzarmi, non dovrò fare niente e avrò messo dentro una grande filosofia… La gente rimarrà estasiata… D’altronde noi siamo niente, le persone capiranno un’enorme verità di vita e mi ringrazieranno, avrò anche fatto del bene, sarò incredibilmente… togo! Ma più passavano i giorni più capivo che stavo facendo una minchiata…”
È in questo modo che l’autore-attore resta ambiguo, ponendoci di fronte a una serie di contenuti non del tutto chiari che continuamente si autodistruggono. Resta tutto all’interno dell’ambiguità di un gioco teatrale sospeso.

“Cosa c’è alla base di tutto? A questi e altri quesiti la performance offre risposte chiare e intellegibili, non avrete più alcun dubbio!”, dice la presentazione dello spettacolo. Non è vero. La performance non offre risposte chiare e intellegibili sui concetti astratti di Tutto e di Niente, fa qualcosa di molto più divertente e… utile: condivide con il pubblico il progetto di uno spettacolo fallimentare e una insoddisfacente ricerca di sé stessi con una ingenuità e una umanità disarmanti, spiattella in faccia allo spettatore l’unica effettiva verità che lo spettacolo intende e riesce a fornire: “Tu non sei speciale: siamo tutti semplicemente umani, nonostante la nostra sagacia, la nostra profondità emotiva o il nostro senso critico”; il niente che la performance mette in scena tra un divertente svarione filosofico e l’altro non è la parmenidea assenza di essere, non è l’ascetistica soddisfazione di una vita che si conclude ciclicamente in sé stessa, ma il profondo, sentito e condiviso dramma di non essere nessuno, nonostante tutti gli umani sforzi.

Lo spettacolo si chiude ciclicamente come era iniziato, e il dramma senza sbocco che si susseguiva durante il racconto di Lelio viene superato dalla dolcezza espressiva della metafora della perla, che semplicemente aspetta che il problema che le si presenta venga superato e diventi il frutto positivo di un’esperienza, un utile e prezioso Tutto.

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