Tutti presenti all’appello: gli incontri di “Mafie, legalità e istituzioni”

“Se dieci anni prima mi avessero detto che Moro avrebbe cambiato la mia vita, avrei riso: invece è stato così. Dopo la morte di Moro non mi sento più libero di immaginare. Anche per questo preferisco ricostruire cose già avvenute. Ho paura di dire cose che possono avvenire.”

Sono parole di Leonardo Sciascia, dal libro “L’affaire Moro”, lette dal Prof. Ernesto Bettinelli in occasione del primo incontro della XIV edizione della rassegna “Mafie, legalità e istituzioni”, il 2 ottobre in Aula ‘400. A organizzare la rassegna, come ogni anno, il Coordinamento per il Diritto allo Studio UDU, l’ Osservatorio Antimafie di Pavia, e presente in sala anche l’associazione Libera. Tema della serata: “Mafia nel caso Moro: la criminalità servente”; relatori: Simona Zecchi, autrice del libro “La criminalità servente nel caso Moro”, ed Enrico Buemi, membro della commissione d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro e membro della Commissione Antimafia.

Tutto iniziò il 16 marzo 1978, Moro si stava dirigendo alla Camera dei deputati perché il nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, doveva essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia. L’auto di Aldo Moro fu intercettata e bloccata in via Mario Fani a Roma dalle Brigate Rosse che lo sequestrarono. Durante la prigionia, durata 55 giorni, le Brigate Rosse avevano cercato di trattare con lo Stato, ma senza risultati, e per questo Moro fu ucciso. Il 9 maggio il suo cadavere fu ritrovato in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4. A 40 anni da questi fatti la realtà rimane oscura e tutte le verità non sono ancora state svelate.

Sul caso Moro sono stati scritti molti libri, ma quello di Simona Zecchi è l’unico che cerca di analizzare le varie componenti criminali che hanno partecipato al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro. Il quadro che ne emerge è sconcertante. Come ha detto l’autrice: “Il ruolo della criminalità organizzata non è una fantasia. E’ una criminalità servente perché si è posta e si pone al servizio di altre strutture, come i servizi segreti, o la politica e, allo stesso tempo, è da queste servita.”

All’appello tutti presenti: non solo Brigate Rosse, ma anche Camorra, la criminalità milanese, e al centro la ‘Ndrangheta. La ‘Ndrangheta ha collaborato nella fornitura di armi e ha avuto un ruolo nella strage di via Fani. Antonio Nirta, affiliato all’organizzazione criminale calabrese, appare nel luogo del sequestro in una fotografia andata perduta e ricomparsa nel gennaio 2016 sul“Messaggero”. E anche Raffaele Cutolo, affiliato alla Camorra, racconta in alcuni interrogatori degli intrecci tra le cosche, le BR e la politica. Il giornalista Mino Pecorelli era riuscito a cogliere questi legami. Venne ucciso il 20 marzo 1979. Quando venne ritrovato il memoriale di Moro nel covo delle BR in via Montenevoso, Pecorelli si era dichiarato molto scettico e aveva affermato la possibilità di una manomissione delle lettere. Moro ne scrisse ottanta in prigionia: trenta furono diffuse e le altre cinquanta furono trovate nei posti più disparati. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, come spiega Enrico Buemi, era confidente di Pecorelli, perciò non è da escludere che anche il suo omicidio, avvenuto il 3 settembre 1982, sia legato al caso Moro, così come tutta la trattativa Stato-Mafia.

Durante la serata si è accennata anche la tesi di un complotto internazionale nel caso Moro, che avrebbe avuto come fautore Henry Kissinger, ex consigliere per la sicurezza nazionale ed ex segretario di stato degli Stati Uniti. A confermare questa tesi un libro scritto nel 1978 “Chi ha ucciso Aldo Moro”  dal Partito Operaio Europeo (POE). Viene sostenuta l’ipotesi secondo cui la Renault 4, prima del ritrovamento, sarebbe stata tenuta in un palazzo. Secondo il POE, il palazzo, che si trova all’angolo tra Via delle Botteghe Oscure e Via Caetani, era quello del principe Johannes Schwarzenberg, ambasciatore dei Cavalieri di Malta. Ma nessuno degli inquirenti lo interrogò e lo stesso principe si  meravigliò di non essere stato interpellato. Morì il 26 maggio 1978 in un incidente stradale, due settimane dopo il ritrovamento del cadavere di Moro.

Del segretario della Democrazia Cristiana rimane la memoria di un uomo e di un politico fedele ai valori della Costituzione. Scrive su di lui Mario Luzi: Accimbellato in quella sconcia stiva,- crivellato da quei colpi,- è lui,

 il capo di cinque governi,- punto fisso o stratega di almeno dieci altri, – la mente fina, il maestro sottile – di metodica pazienza, – esempio vero di essa – anche spiritualmente: lui.

Serafina Battaglia, Michela Buscemi, Rita Atria, Maria Concetta Cacciola, Saveria Antiochia, Rosaria Costa, Lucia Borsellino.

E’ l’appello della seconda serata della rassegna. Lo spettacolo teatrale “Donne e mafia” ha raccontato la scelta di sette donne a stretto contatto con il fenomeno mafioso. Alcune di loro, appartenenti a famiglie mafiose, hanno deciso di diventare testimoni di giustizia e per questo hanno perso la loro vita. Altre, come Lucia Borsellino, hanno vissuto a fianco di chi la mafia ha provato a combatterla. A dominare il palcoscenico il nero delle vesti delle attrici. Unico colore possibile, perché la mafia non è vita, e perciò toglie colore a tutto ciò che incontra.  (per saperne di più leggi l’intervista di Lisa Martini).

 

“Mafie senza coppola: mafie e sanità- mafie in Emila” è invece il titolo del terzo incontro tenutosi  il 4 ottobre nell’Aula da disegno dell’Università. Questa volta a rispondere all’appello, già dai banchi di scuola, è Elia Minari, membro dell’associazione Cortocircuito e autore del libro “Guardare la mafia negli occhi. Le inchieste di un ragazzo che svelano i segreti della ‘Ndrangheta al nord”. Al liceo con i suoi compagni di classe aveva iniziato a indagare sulla presenza della criminalità organizzata in Emilia Romagna. Presente alla serata anche Federica Cabras, esperta di mafie al nord, che ha spiegato come le organizzazioni si insinuano nel tessuto sociale e nessun ambito sembra essere esente dall’infiltrazione.

Anche la sanità non è esclusa, si è parlato infatti del caso dell’ASL di Pavia. Il Direttore sanitario Carlo Chiriaco è stato condannato nel 2010 a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Era un elemento di unione tra esponenti della ‘Ndrangheta lombarda e alcuni politici. Favoriva gli interessi economici dell’organizzazione criminale garantendo appalti pubblici e riciclava denaro proveniente da attività illecite.

Elia Minari ha sottolineato l’importanza di fare la propria parte, le sue ricerche e inchieste erano partite dalle feste del  liceo, si tenevano sempre nella stessa discoteca e lui aveva iniziato a nutrire sospetti. E studiando l’infiltrazione della ‘Ndrangheta al nord è riuscito a smascherare il ruolo dell’organizzazione criminale, i suoi collegamenti con ogni ambito della società, e attraverso il suo libro, ha mostrato la realtà a tutti.

È vero, spesso la verità può essere fastidiosa, perché ci chiama ad una responsabilità personale, ci invita ad essere presenti, ma “la verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.” (Aldo Moro)

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