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Tutti i nemici di Paolo Borsellino

«E’ da 25 anni che lotto per la verità su mio fratello. Lotto per mantenere viva la sua memoria, per lasciare qualcosa di fermo in uno Stato dove ancora non c’è né libertà né giustizia. Nel cuore ho una sola certezza, che il sogno di Paolo non morrà mai perché era un sogno d’amore e non potranno mai inventare una bomba che uccida l’amore».

Così esordisce Salvatore Borsellino, nell’aula ‘400 dell’Università, invitato lunedì 2 ottobre dal Coordinamento per il diritto allo studio UDU e dall’Osservatorio Antimafie di Pavia, per ricordare il fratello Paolo e la sua lotta alla mafia.

Il Giudice Paolo Borsellino venne ucciso nella strage di via d’Amelio il 19 luglio del 1992. Il suo non fu soltanto un omicidio di mafia, ma vide la complicità delle più alte cariche dello Stato.

Tre processi, il quarto è ancora in corso, ma la verità sembra essere ostruita, calpestata, e nonostante la reazione dei cittadini all’indomani della strage, l’indifferenza ha preso piede tra l’opinione pubblica e lo Stato sembra soccombere dietro il puzzo del compromesso morale e della complicità.

Il Giudice è stato ucciso perché era venuto a conoscenza della trattativa tra lo Stato e la mafia. Borsellino infatti stava interrogando il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, che nel 1986 era stato coinvolto nel Maxiprocesso. Decise di parlare e raccontò delle infiltrazioni mafiose all’interno dello Stato. Fece dei nomi come quello del giudice Signorino, il generale dei ROS Antonio Subranni che era punciutu, cioè affiliato alla mafia, il Ministro Nicola Mancino e Bruno Contrada, capo della Mobile di Palermo.

Paolo Borsellino, come racconta Salvatore, segnava tutto in un’ agenda rossa che portava sempre con sé. Ma il 19 luglio quell’agenda è sparita. Che fine abbia fatto ancora oggi non si sa, ma sicuramente conteneva delle testimonianze che avrebbero messo a rischio la credibilità delle Istituzioni e per questo è stata fatta sparire.

Il Giudice teneva un’altra agenda in casa dove scriveva le spese della giornata e chi doveva incontrare. Il 1 luglio 1992 alle ore 19:30 c’è scritto che aveva un appuntamento con Mancino, ma Mancino nega. «Ha negato perché evidentemente è successo qualcosa di terribile quel giorno, gli deve aver detto di fermare le indagini e Paolo non avrebbe mai accettato che lo Stato si alleasse con la mafia», come ha detto con rabbia Salvatore.

Borsellino incontrò anche Contrada. Nessuno sapeva che Mutolo stesse collaborando con la giustizia ma disse a Paolo che il pentito, se voleva dire qualcosa, doveva parlare con lui, quindi era a conoscenza dell’interrogatorio. Mancino è stato poi iscritto nel registro degli indagati della Procura di Palermo e Contrada arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Le indagini sull’omicidio di Borsellino hanno subito dei depistaggi. Esistevano alcune registrazioni in cui, l’allora Presidente della Repubblica Napolitano, parlava del caso con alcuni pentiti. Ha chiesto e ottenuto la distruzione di quelle registrazioni perché non rilevanti. Secondo Salvatore Borsellino avrebbe dovuto pretendere invece che venissero pubblicate perché è importante che per un Presidente della Repubblica non ci sia nulla di eticamente e moralmente da nascondere dal momento che rappresenta la carica più alta delle nostre Istituzioni.

Il criminale Vincenzo Scarantino si accusò di aver partecipato alla strage. Dopo il carcere decise di collaborare ammettendo di non avere preso parte all’attentato e di essere stato costretto da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, a confessare il falso e di aver subito maltrattamenti in carcere. Si voleva insomma trovare a tutti i costi un colpevole per depistare le indagini e mettere a tacere l’opinione pubblica.

Salvatore Borsellino ha chiuso il suo intervento con un appello: «Vi sentirete dire che sì quella trattativa c’è stata ma è stata fatta per salvare la vita ad alcuni ministri, che è stato necessario trattare con la mafia, ma non credeteci. Rifiutate tutto questo come ha fatto Paolo».

Oggi si parla dei due magistrati come due eroi, ma non è sempre stato così. La storia di Falcone e Borsellino è la storia di due magistrati lasciati soli. Vennero delegittimati, non avevano l’appoggio neanche dei loro colleghi, che li accusavano di fare il loro lavoro solo per interesse. Falcone addirittura venne accusato di aver simulato l’attentato all’Addaura, perché la bomba non esplose e la mafia non sbaglia.

I due magistrati invece avevano un profondo senso dello Stato, e hanno dimostrato il valore etico della responsabilità.

Ognuno di noi deve fare la sua parte, azioni piccole, quotidiane che raccolgano l’eredità di Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso anche la mafia sparirà come un incubo.”

La poetessa Blaga Dimitrova ha scritto un verso che sembra rispecchiare bene la vita non solo di Falcone e Borsellino ma di tutte le persone che ancora oggi lottano contro la mafia: “Nessuna paura che mi calpestino, calpestata l’erba diventa sentiero.”

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