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Once you try the (train) track, you never come back!

Da diversi giorni non mi capita di prendere il treno; come i buoni studenti pavesi sapranno, da gennaio ormai si protrae la lunga (e apparentemente interminabile) sessione d’esame invernale, così, salvo rare occasioni in cui sono stata obbligata a farlo, non ho vissuto gli ultimi due mesi da vera pendolare. Cosa che, sembrerà strano e assurdo, mi è un po’ mancata perché, dal salire tutti i giorni sulla stessa carrozza dello stesso treno della stessa linea della stessa stazione, a non farlo più… la differenza si sente. Certo, posso dire di aver apprezzato particolarmente l’idea di non dovermi svegliare super presto la mattina per correre in stazione; di non dover aspettare la coincidenza nella stazione di Bovisa, perennemente affollata e così rumorosa da farti venire l’emicrania già alle 7, o di non dover correre su e giù per i binari per andare alla ricerca dell’S13, l’eterno indeciso. Ho adorato il fatto di non dover pensare già la sera prima a cosa mettermi il giorno dopo in base a delle previsioni ipotetiche del tempo per tutta la giornata. (È il dramma classico del pendolare che parte da una stazione e passando per altre fino ad arrivare alla meta, attraversa zone climatiche sempre diverse: dal freddo e gelo delle prime luci del mattino, al caldo soffocante del regionale sovraffollato, all’umidità e alla nebbia della pianura padana e dei campi pavesi, motivo per cui il raffreddore è un must per tutto il primo semestre). Ho ringraziato il calendario dell’università anche quando la sera alle otto, invece di essere dispersa in chissà quale stazione in attesa di un treno in ritardo, mi trovavo al calduccio a casa e potevo mangiare ad un orario decente invece di farlo quando gli altri andavano a letto. Non mi è neanche dispiaciuto constatare che nei fine settimana di gennaio potevo evitare di farmi prendere dall’angoscia e dal dubbio per il tradizionale sciopero del venerdì. È vero, ho apprezzato anche molti altri aspetti della mia pausa temporanea dalla “vita da pendolare”.

Eppure dopo un po’ anche una “pendolare traditrice” come me ha iniziato a sentire una mancanza (poca eh) dei suoi trascorsi con i treni. Una leggera nostalgia che non chiunque potrà capire. Ad esempio quella sensazione di stranezza che si prova dopo mesi passati ad aspettare il treno nella stessa stazione, nel medesimo angolino, con le stesse persone, quelle di cui non si è mai saputo il nome, nulla in realtà. Il che alla fine è un’inezia perché ciò che davvero importa è vederle sempre lì, nello stesso posto, alle prese con le solite chiacchiere e le solite lamentele, con le stesse facce stanche ma sorridenti. In fin dei conti è piacevole anche rivedere ogni volta gli sfortunati come te che hai conosciuto proprio lì sul treno e con i quali trascorrevi i viaggi chiacchierando. È anche strano riflettere su come, e questo sembra ancora più assurdo e inspiegabile, capita di riuscire a fare molte più cose quando si è obbligati a stare su un treno per ore piuttosto che quando si sta a casa per la stessa durata di tempo. Avete mai provato a pensare a quante innumerevoli attività si possono svolgere in treno?

C’è chi ad esempio, dovendo partire molto presto la mattina, si porta dietro latte, cereali, tazza e si prepara la colazione, o chi magari preferisce qualcosa di più contenuto perché sa che si troverà a stare in piedi stritolato tra gli altri cento sessantottomila pendolari e, allora, si prende una semplice brioche. Chi ha la fortuna di sedersi, soprattutto sulle lunghe tratte, ha sviluppato ormai la sorprendente capacità di isolarsi completamente dal resto della carrozza riuscendo a dedicarsi ai propri lavori urgenti. Così capita di vedere l’impiegato che mette a posto gli ultimi documenti, il manager che organizza riunioni per telefono, l’insegnante che corregge i compiti di fisica degli alunni, il pubblicitario alle prese con il programma di grafica, lo studente che ripassa, la signora anziana che legge. Chi è veramente capace di estraniarsi completamente dal mondo riesce anche a dormire un po’. Il tale che preferisce dedicarsi alle public relations, invece, attacca bottone col vicino o parla con quello con cui ha attaccato bottone mesi fa e che ora è un suo amico. All’ora di pranzo chi torna a casa inibisce il “languorino” morsicando a pezzettini una fetta di pizza, ma coprendosi con pudore per paura che qualcuno lo possa vedere mentre si sbrodola la camicia con il sugo. Stessa cosa la sera, all’ora di cena, quando però si rischia di incontrare più gente e “mimetizzarsi” con il sedile diventa più difficile. Per fortuna tutti mangiano, così non fanno caso agli altri.

Una volta mi è capitato anche di incontrare una coppia di fidanzati che tra un bacio e l’altro hanno ricordato il loro primo incontro e un’altra volta una coppia di fidanzati che tra un insulto e l’altro si è detta addio per sempre.

In treno poi si incontrano tutte le realtà generazionali: il neonato in braccio alla mamma, il bambino con il giocattolino rumoroso, l’adolescente che va a scuola con gli amici, l’universitario in crisi pre-esame, l’adulto che si reca al lavoro, la persona anziana dallo sguardo gentile che chiede informazioni sulle fermate… È un vero microcosmo tutto a sé e noi pendolari in qualche modo ne facciamo parte e ne seguiamo i meccanismi, la routine.

Così riflettevo sul fatto che a volte quando ci si abitua a fare qualcosa e a farlo spesso, tanto che diventa routine, è difficile “staccarsene”. Perciò tutto sommato non mi dispiace pensare che tra poco tornerò a fare la pendolare vera e anche se un po’ sbuffo all’idea delle peripezie che mi toccherà affrontare, sorrido anche pensando alle nuove avventure che mi aspettano. Basta prenderla con filosofia, in fin dei conti essere pendolari è un po’ uno stile di vita, magari non come il vegano o lo zen, però implica comunque cambiamenti nel modo di vivere le giornate e impostare le proprie abitudini. E se non lo è per sempre, lo è almeno per un po’, forse per il periodo di tempo più importante della nostra vita, chi lo sa. Come recita un famoso detto “Once you try the track, you never come back!”. Ah no ops, forse non diceva proprio così?!

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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