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I trailer stanno davvero uccidendo i film?

La parola inglese hype, diminutivo di hyperbole (iperbole in italiano), indica l’eccitazione crescente causata da un’attesa spasmodica di un qualche evento, il quale a sua volta può essere largamente anticipato da una insistente campagna informativa. Esso può rivelarsi un’arma a doppio taglio perché, se da un lato pilota l’attenzione delle masse verso un dato evento, dall’altro rischia di creare aspettative troppo elevate per qualcosa che alla prova dei fatti non soddisfa le aspettative del pubblico. Il cinema è stracolmo di esempi di attese disilluse e promesse mancate. Ma se si parla di cinema adesso, non possiamo limitarci ai soli passi falsi dei registi. C’è tutta una componente consumistica che ha contribuito a trasformare quello che una volta era il cinema in una gigantesca campagna elettorale tra major cinematografiche. Perché si sa, profondamente il cinema è anche un po’ politica.

Ma sia chiaro, quando dico “componente consumistica” non mi riferisco a gadget derivati, a prodotti subalterni o in generale alle derive, più o meno sensate, di tutte le produzioni high concept. Mi riferisco invece e mi ricollego a quanto detto sopra sull’hype, il quale, lo si riconosca o meno, è il vero responsabile della metamorfosi artistico-politica del cinema. Chiaramente parliamo principalmente di grosse produzioni e blockbuster. Si pensi, ad esempio al caso Batman v Superman (Zack Snyder, 2016): il film fu annunciato al Comic-Con di San Diego nel giugno 2013. Da allora, se contiamo solo i trailer, escludendo quindi interviste, leak fotografici, dietro le quinte, materiale promozionale vario e gli odiatissimi ad su YouTube (che partono SEMPRE prima di quella canzone che ami), abbiamo un totale di 19 trailer nel giro di tre anni. Una media di più di sei trailer all’anno. Se l’incitamento all’hype fosse un reato, probabilmente la Warner Bros sarebbe stata commissariata un paio di anni fa. Ma è comunque eccessivo e controproducente per un film, sia esso anche una produzione importante come un cinecomic superomistico, si bombardi così tanto il pubblico. Adam Driver, interprete di Kylo Ren nell’attuale trilogia di Star Wars, ha avanzato la proposta di non rilasciare alcun trailer del successivo capitolo della saga, contribuendo in questo modo ad aumentare l’effetto sorpresa per il film a discapito dell’hype (sebbene siamo tutti abbastanza sicuri che un film di Star Wars abbia ben poco da perdere in fatto di hype). Troppo tardi Adam, un trailer è già stato rilasciato e c’è chi pure ha capito inequivocabilmente da quei 120 secondi di video che Jar Jar Binks è il nuovo Signore dei Sith.  In ogni caso Driver sembra aver indicato nelle troppe anticipazioni il vero lato oscuro del cinema contemporaneo.

Colpa dei trailer, quindi, e delle massicce campagne promozionali delle major cinematografiche? Non proprio. I trailer non sono certo una novità di questi anni, né l’hype è nato con i blockbuster. Ma forse è proprio nell’ultimo decennio che l’hype è diventato un oggetto il cui uso e consumo è problematico. Non i trailer in sé quindi, i quali, quando ben realizzati e distribuiti, sanno anche essere dei piccoli capolavori di montaggio; né forse è colpa – non del tutto almeno – delle major cinematografiche le quali, per parafrasare Sergio Leone, fanno uno sporco lavoro (il loro), ma che qualcuno deve pur fare. No, a essere del tutto onesti, buona parte della responsabilità è nostra: siamo noi che stiamo disimparando – nel cinema, ma del resto come in molti altri aspetti della quotidianità – il valore dell’attesa. Siamo noi forse che, peccando di innocente e insaziabile gola, arriviamo al piatto principale già pieni e quasi disgustati. Siamo noi, i quali, ritenendoci dei semplici fruitori passivi, pretendiamo che il cinema ci venga servito e imboccato, e che soddisfi perfettamente il nostro palato. Le case cinematografiche non fanno altro che venirci demagogicamente incontro, anche e sopratutto grazie alla gratuità e facilità di Internet. Forse la proposta di Driver può sembrare eccessiva, ma indubbiamente deve farci riflettere sull’illusione della nostra passività come spettatori. Non è più vero che un film inizia nel buio della sala il giorno della prima. Ormai molti film iniziano a essere visti – e addirittura recensiti – già a cominciare dalle anteprime sul web; e nessun critico provi a negare che anche e soprattutto quelle anticipazioni influiscano sul giudizio finale. Non poche recensioni, infatti, iniziano con il confronto tra le aspettative e la realtà della sala. Noi siamo, come spettatori, un buon 50% della produzione attiva, se non di un film, sicuramente di un insieme di film, e non sempre questo 50% è formato da persone competenti.

Sicuramente le case di produzione possono fare di più, e cioè impegnarsi a mostrare di meno, ma anche noi dovremmo impegnarci a rispettare stoicamente l’attesa che rende ogni cosa più desiderabile. Altrimenti, non i trailer, ma la nostra incontrollata smania per essi, finirà con l’uccidere lentamente l’industria del cinema, sacrificando la sostanza al consenso popolare. Un po’ come una certa politica.

E ora scusate ma vado a controllare le ultime notizie sul prossimo trailer di Star Wars.

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