Scienza

Tra neuroscienze e intelletto:”Musicofilia” di Oliver Sacks

di Camilla Bruneri

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Ancora oggi il rapporto tra scienze dure e scienze umane soffre dell’iperspecialismo e della dipendenza dalla materialità e dall’immaterialità che rende le une indispensabili per lo sviluppo tecnologico (uno sviluppo, troppo spesso, scevro della componente umana) e le altre relegate a semplice serbatoio nozionistico. Non era così però secondo alcuni pensatori del nostro tempo (se pensiamo a Heidegger), non è così nemmeno per il dottor Oliver Sacks, psichiatra e scrittore newyorkese, di cui Adelphi ha pubblicato in Italia anche la sua famosa opera “Risvegli” (riguardante il morbo di Parkinson),da cui è stato tratto un film nel 1990 che vantò tre nomination agli Oscar.

In questa seconda edizione del suo saggio “Musicofilia”, Sacks sonda l’affascinante mondo della musica come esperienza intellettuale e sensoriale, cercando di colmare le lacune che anche la scienza delle neuroimmagini non riesce a spiegarsi: come può, la musica, essere immaginata, sentita, vista con gli occhi della mente? Come può un essere umano, percepire colori, provare sensazioni olfattive, gustative e tattili, mentre ascolta la musica?
Seguendo la traccia suggeritaci da Darwin (nel suo “Origine dell’uomo”), queste sarebbero prerogative, capacità esclusivamente umane “giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità di produrle sono facoltà che abbiano il benché minimo utile diretto per l’uomo… devono essere collocate fra le più misteriose di cui egli è dotato.” A supporto di questa tesi, anche Steven Pinker, pur essendo molto legato alla musica, sostiene che la nostra specie potrebbe tranquillamente vivere senza musica, non essendovi un legame genetico, una naturale evoluzione che spieghi questa nostra musicofilia.
Sacks, citando Williams James, parla di ex-attamenti (exaptation) e non di ad-attamenti (quelli, per esempio, che spiegano il canto degli uccelli, non tenendo conto della componente estetica),riferendosi alle arti e in particolare alla musica come di aspetti della “nostra vita intellettuale” che hanno fatto il loro ingresso nella mente umana “dall’entrata posteriore”, dimenticandoci, per un momento, che l’obiettivo della medicina sia quello di spiegare matematicamente una serie di meccanismi.
Se il motivo del nostro adattamento alla musica non trova risposta nell’evoluzione del linguaggio, può raccontarci però una storia dell’antropologia umana sempre dal punto di vista comunicativo, partendo dalle manifestazioni musicali preistoriche, fino all’eccezionale orecchio di Mozart, passando per le allucinazioni ed epilessie musicali, i “tarli”, la seduzione di cui essa è capace sull’uomo. In particolare il ritmo sembra essere la caratteristica che ha accompagnato la musicofilia umana fin dagli albori, permettendo una profonda connessione dell’uomo con la vita, la terra e soprattutto la comunità. Secondo Patel il ritmo proprio della musica si sarebbe originato più probabilmente indipendentemente dal ritmo del linguaggio, più irregolare, accordandosi con l’affermazione di Darwin, che non si spiegava la perfezione dell’apparato cerebrale umano in risposta alla musica. Oggi, grazie alla tecnologia delle neuroimmagini, è possibile monitorare e fotografare il cervello umano e le sue risposte agli stimoli artistici astratti (senza logica, come la musica), spingendoci fino all’interessante questione circa i “neuroni specchio”, forse i principali responsabili della nostra capacità motoria mimetica legata, in questo caso, alla musica. Questa capacità, lo possiamo proprio dire, propria della musica, viene da anni impiegata in casi particolarmente gravi di disabilità, come la sindrome di Tourette (che genera continui spasmi e sussulti, molto più gravi dei cosiddetti “tic”), il morbo di Parkinson e nei casi di demenza senile.
Grazie alla musica i movimenti residui e stereotipati dei pazienti tourettici e parkinsoniani trovano una loro fluidità, una calma concentrazione sul momento musicale che si rivela la medicina più efficace. Nella demenza, uno stato di amnesia e congelamento emozionale, può invece risvegliare gioie sopite, riportando per la durata della musica ad una vita più vigile, pur non essendo in grado di restituire la salute.
La musica può migliorare la qualità di vita di molti pazienti, come racconta Sacks nei lunghi aneddoti riguardanti i suoi primi anni di lavoro, nei quali dovette trattare casi gravi di pazienti post-encefalici (prima della scoperta della L-dopamina, usata anche per il Parkinson), che descrive come dei veri e propri “sopravvissuti”. Grazie all’intervento della musicoterapeuta del Beth Abraham Hospital, Kitty Stiles, Sacks ha potuto studiare molto da vicino gli effetti della musica su persone rese impossibilitate ad una vita normale e ad una normale comunicazione, “svegliarsi” e ritrovare speranza in un motivetto inciso nella memoria auditiva infantile o anche solo somigliante.
D’altra parte la musica può anche avere un effetto deleterio su certi tipi di patologie o non essere percepita come manifestazione stimolante da chi è affetto da amusia o disarmonia. Accanto alla più comune (e in molti casi grave) sordità, possiamo avere una vera e propria “mancanza d’orecchio”, incapacità cioè nel riconoscimento della diversa altezza dei suoni, e uno spiccato senso del ritmo, oppure un orecchio assoluto (generalmente più comune in bambini ambientalmente predisposti ed educati all’ascolto fin da piccolissimi) e una totale mancanza di ritmo. Anche tutti questi fenomeni appaiono inspiegabili, perché laddove non interviene un deficit auditivo, la scienza non è ancora in grado di spiegare come e in che misura un bambino possa sviluppare qualità e capacità musicali, indipendentemente dal contesto in cui cresce. Alla sordità, o alla mancanza di un arto, può sopperire la capacità di astrazione, la nostra “immaginazione musicale”, ma come possiamo spiegarci casi di “ipermusicalità” come quelli dei savants musicali e della sindrome di Williams?
Casi di ritardo mentale che però sono capaci di originare abilità musicali (e non solo, nel caso dei savants) fuori della portata di molti abilissimi musicisti, misteri che nemmeno lo studio della memoria è capace di svelare.
E ancora sogni musicali, traumi nei lobi temporali, musica e follia, musica come espressione identitaria: sono questi i temi cardine del saggio di Sacks, che altro non è se non un diario di ricordi e ricerche ancora in corso, che racconta d’arte, di vita, di musica, musicisti ma soprattutto persone, con freschezza, passione e grande curiosità.

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