Attualità

Tempo di Libri 2018: Tre donne politecniche

8 marzo, Tempo di Libri: la protagoniste indiscusse sono le donne.

In Italia le discriminazioni nei confronti del sesso femminile sono, spesso, legate all’ambito lavorativo. Tempo di Libri, la fiera internazionale dell’editoria, ha deciso di parlarne con chi è riuscito a farsi valere, aldilà degli stereotipi legati al genere. Tre italiane, tre ricercatrici, ma soprattutto tre donne hanno deciso di rimanere nel loro Paese e raccontare la loro storia. Il Politecnico di Milano, per ognuna di loro, ha rappresentato una tappa fondamentale per la carriera.

Camilla Colombo è la prima a parlare: “Sono un ingegnere areospaziale, mi occupo di meccanica orbitale. Il mio lavoro consiste nello studio delle traiettorie e delle orbite dei satelliti”. Lo spazio, come ricorda la Colombo, non è poi così lontano dalla vita di tutti giorni , basti pensare alle previsioni del tempo o alla geolocalizzione (il gps, per intenderci), ma anche alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico: questi sono solo alcuni dei servizi che il lavoro della Colombo ci offre. E’ la prima, ma non l’ultima, a parlare di Europa, che ha finanziato i due progetti per i quali lavora. “Il mio compito è disegnare le orbite dei satelliti per permettere tutti questi servizi. Per far sì che i satelliti orbitino sfruttiamo le forze naturali intorno alla terra o ad altri pianeti, riducendo l’utilizzo di propellente e abbassando i costi delle emissioni”. Giovanissima, la Colombo ha già alle spalle numerose esperienze “Sono stata 10 anni all’estero, in Inghilterra. Consiglio sempre l’esperienza in un paese straniero: mi ha cambiata e mi ha aperto la mente. Inizi a guardare il mondo con occhi diversi”. Si sa, nelle facoltà scientifiche le donne sono la minoranza e le sue parole lo confermano “Il mio gruppo di ricerca è composto da dieci persone di cui solo due sono donne. Anche nel mio percorso di studi le docenti donna sono sempre state poche rispetto agli uomini”. Camilla Colombo parla postivamente della figura maschile nella sua esperienza lavorativa “Senza generalizzare, ho notato caratteristiche diverse tra i due sessi. Gli uomini a volte sono più pragmatici e hanno aspetti del carattere differenti rispetto a noi, ma queste diversità non sono che fattori di forza per il nostro gruppo“.

Prende poi la parola Carmen Giordano, bioingegnere napoletana che, terminati gli studi alla Federico II di Napoli, si è trasferita a Milano nel 2001: tra le tante proposte di lavoro, quella di gestire e allestire il primo laboratorio di colture cellulari al Politecnico di Milano risultava la più stimolante. Nonostante le altre proposte all’estero, la Giordano è rimasta in Italia. “Ho cominciato a lavorare a dei dispositivi per la ricerca di nuove strategie terapeutiche per l’organo più complesso e importante del nostro corpo: il cervello. Patologie come l’Alzaheimer, di cui non si conosce nè la causa nè l’evolversi, ancora oggi non hanno cura“.Tra le tante ipotesi sulle cause di queste malattie, ma non sulla terapia, nel 2014 si imbattè con il suo team di ricerca nel microbiota “ed è la genesi del progetto MINERVA“, racconta. L’idea di base è legare le patologie a livello intestinale con il funzionamento del cervello, un’ipotesi che fu scartata per tanto tempo. Ed è qui che ritorna l’Europa, spesso screditata dall’opinione pubblica: “Abbiamo fatto richiesta alla Comunità Europea di aiutarci a realizzare una piattaforma tecnologica per studiare meglio questi fenomeni.”

Dopo due testimonianze nel campo scientifico, interviene Simona Chiodo, ricercatrice e docente ordinario al Politecnico di Milano in filosofia ad architettura, insegna estetica dell’ Architettura ed Epistemologia. “La mia esperienza al Politecnico di Milano come unica nel mio dipartimento è stata molto positiva. Posso dire che nel mondo accademico italiano i problemi legati al pregiudizio di genere ci sono e, purtroppo, li ho visti con i miei occhi “. Quello che sostiendave la Chiodo è che, a dispetto delle opinioni comuni, sia l’ambiente umanistico che più soffre e subisce discriminazioni nei confronti del genere femminile: “E’ vero, ci sono più donne che studiano discipline umanistiche, ma non sono sicura che, poi, a livello delle carriere accademiche, continuino ad essere in numero maggiore rispetto agli uomini. La mia disciplina ne è l’esempio: in tutta Italia le ordinarie donne sono solo due. Per ora”. Simona Chiodo fa notare che dietro alla “soggettività” delle materie umanistiche, di contro all’oggettività di quelle scientifiche, si nascondono una serie di abusi. Perchè ciò dovrebbe quindi penalizzare le donne? “Tra le tante conseguenze di questi abusi una constatabile è che l’ambiente umanistico è molto più conservatore: il potere rimane nelle mani di chi l’ha sempre avuto, ossia uomini di una certa generazione. E i dati lo dicono”. Fa sicuramente un certo effetto sentire la Chiodo raccontare di professori che in contesti ufficiali si rifiutano di chiamare una collega donna “professoressa”, ma preferire “signora”, non ritenendola, forse, alla pari. Così come episodi di colleghi uomini che come regola danno del “tu” al genere maschile e del “lei” a tutte le donne, compresi gli ordinari di sesso femminile. “E questi sono ancora racconti soft”.

Tre donne che in Italia ce l’hanno fatta e hanno deciso di rimanerci (o, nel caso di Camilla Colombo, di tornarci). “L’Italia mi ha dato tanto e non potevo che dare di nuovo al paese che mi ha formato”, racconta Carmen Giordano, “E’ vero, ci sono ancora molti problemi per quanto riguarda la discriminazione di genere, ma nel mio ambiente chi ha talento e passione ha anche successo“. “L’Italia è uno dei paesi migliori al mondo nel formare” spiega la Chiodo “C’è anche una battuta che si fa all’estero: in ogni dipartimento al mondo ci sarà sempre una pianta falsa e un ricercatore italiano”. Simona Chiodo, terminato il suo intervento, cerca lo sguardo delle più giovani in sala: “Ragazze, dovrete lavorare tanto, ma sarà anche bellissimo”.

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