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Tempo di Libri 2018: l’Italia in cornice

Nei padiglioni 3 e 4 di Fieramilanocity si è svolta dall’8 al 12 marzo la Fiera Tempo di Libri, giunta alla sua seconda edizione; diretta da Andrea Kerbaber e organizzata da La fabbrica del libro, la Fiera ha ospitato 850 eventi divisi per sezioni tematiche: tra i 1200 ospiti attesi anche Ezio Mauro che ha scelto la giornata di venerdì, dedicata al tema della ribellione, per delineare lo stato della nostra res publica in un “Autoscatto” critico e consapevole.

Affiancato da Marco Bracconi e da un nugolo di persone riunite nell’intima Arena Robinson, l’ex direttore di Repubblica parte dalla parola chiave che inaugura la giornata: ribellione, e a seguire rivolta e rabbia, triangolo semantico che va ricostruito nei suoi nessi causali. 

Quanto è arrabbiato il nostro tempo? Secondo Mauro non è rilevante quantificare il sentimento di rabbia, ma comprendere che esso pertiene ad una sfera esclusivamente individuale: cova per anni in stomaci solitari senza mai saldarsi con il resto, senza trovare sbocchi capaci di mitigarla, e in questa lacuna prende vita la rivolta. Quando la protesta accorata è contro lo Stato, la strategia di difesa immediatamente attuabile consiste in un trincerarsi dietro la pretesa, falsamente persuasiva, che di questo Stato non abbiamo bisogno, che questa privazione non è un’ingiustizia deleteria.

Come siamo giunti a questa “solitudine dei numeri primi” che niente agita e nulla mette in moto?
Con il rovinoso crollo del rapporto tra cittadini e sistema politico, con il dissolversi del laccio inscindibile che erano i partiti, ognuno di essi con un portato storico e culturale che consentiva al pensiero di evolversi in azione mediata. Quando la rappresentanza muta in rappresentazione, il trionfo dell’antistatalismo è ça va sans dire il proclama di una società del rancore. E allora il giornalista piemontese ritorna a menzionare quella rabbia, quell’onda di moti istintuali la cui unica diga può essere costituita dalla politica in quanto codice interpretativo, riordino e incasellamento in strutture collettive: se si esaurisce la funzione naturale dei corpi intermedi, il risentimento non filtrato pretende tutela da una politica vilipesa, e in una nube di questioni soverchianti esigiamo soluzioni semplici.

downloadIl cortocircuito tra pubblico e privato è presto compiuto, il peso delle libertà negative cresce e la società diventa un alveare suddiviso in miriadi di piccoli compartimenti, privo però della laboriosità solidale delle api. Una società travolta da un mutamento ingovernabile si chiude a riccio nella tutela del proprio recinto e presenta il conto delle insicurezze individuali a un sistema istituzionale percepito come “estraneo”, come Altrove.
Nei miasmi dell’antipolitico e del prepolitico, il rischio più grande lo corre la democrazia dei partiti che, stando alle parole di Nadia Urbinati su Repubblica, non ha mai goduto di un’egemonia incontrastata, anzi: facendosi storia ha fatto anche la storia dell’anti-partito e della lotta senza quartiere alla corruzione, sviluppando un incanto ingenuo verso l’incompetenza.

Il mantra dell’estraneità, dell’homo novus non contaminato dalla politica, torna prepotente anche nell’intervista. Siamo dinnanzi al disconoscimento di ogni autorità, suggerisce Bracconi, e di fatto abbiamo rinunciato a pretendere la competenza per delle briciole di onestà. Cogliendo il cuore della questione, Mauro rivendica a gran voce che “la sincerità va intesa come condizione primitiva, mai punto d’arrivo e ancora meno unica cifra di fiducia”: bisogna esigere l’onestà come conditio sine qua non e, in virtù di questa garanzia, sciogliere l’unico fascio irredimibile e accettare che “in Parlamento vale la legge delle creature, non i dogmi”.

download (1)L’assist di Bracconi qui è insindacabile: la democrazia è un bene prezioso e va preservata, dovremmo imparare dalla razionalità della politica francese. Ed è innegabile che la democrazia è ora più in bilico che mai: costretta a dividere il suo spazio con le disuguaglianze, ne prende atto e da sempre cerca di porvi rimedio con gli ammortizzatori sociali. Gli strumenti di cui dispone hanno però un limite: quando la divaricazione si esaspera e le disuguaglianze diventano esclusioni, la natura stessa della democrazia non può contemplarle per poi affrontarle. Diventa perciò, nel malinconico ritratto che ne fa Mauro, come quei “sassi levigati sulla spiaggia”: sono stupendi, eppure covano in sé un organismo morente.

A conclusione dell’intervista i dialoganti omaggiano Aldo Moro, che nel dramma del terrorismo italiano subì la sentenza del progetto politico dell’estrema sinistra; del resto i brigatisti, desiderosi di essere politicamente riconosciuti, non vollero assolverlo da un’accusa totalizzante, da colpe troppo grandi per gravare sulle spalle di un uomo solo. Del condannato si è occupato lo stesso Ezio Mauro in un’ inchiesta multimediale, “Cronache di un sequestro”: 10 puntate, un inserto estraibile di 4 pagine sul quotidiano e una web serie sul sito di Repubblica.

Il ricordo dei nostri anni di Piombo sembra assumere qui un valore preciso: serve come incoraggiamento a tornare alla Politica e consentirle di intervenire, nel quadro di una democrazia solida e vitale, per intercettare le frustrazioni e impedire che si saldino con progetti politici concorrenti e spaventosi. Questo è il banco di prova a cui il nostro Paese non può sottrarsi. Ora più che mai. Ora che il Paese sembra un collage di monadi solitarie, ora che spacciamo la massificazione per libertà di scelta, l’accoglienza passiva delle illusioni per capacità di discernimento, l’isolamento per raccoglimento individuale. Ora che ci beviamo di nihilismo ideale credendoci propositivi.  Ora che siamo esposti alle insidie intellettuali di chi disprezza l’anfora dello Stato che è, badate bene, struttura elefantiaca e artritica, ma mai un guscio vuoto, perché tutti ci contiene e ci circonda. Ora che il filo che ci univa si è davvero nascosto.

 

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