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TEDxPavia 2019: un dialogo sul limite come…

Ted è arrivato anche quest’anno a Pavia. Le idee, i progetti e le storie dei relatori hanno preso parola al teatro Fraschini di Pavia la sera del 22 maggio. Persone da mondi diversi, si sono qui incontrate per costruire un dialogo unico sul Limite.

Nessuna introduzione. Inizia Gabriella Greison. Fisica, scrittrice, attrice teatrale e drammaturga. Un giovanile entusiasmo per ciò che fa: raccontare la fisica del XX secolo. Affettuosamente legata ad Einstein e Heisenberg. Grazie al suo racconto, queste figure luminose, apparentemente irraggiungibili e inavvicinabili, si mostrano nella loro umanità: hanno sofferto, hanno amato, hanno sbagliato e hanno sperato. Conduce la serata e introduce il prossimo relatore.

Tito Michele Boeri, economista. Professionale e conciso. In poco più di 15 minuti, il suo speech riesce ad ‘abbattere’ qualche debole torre del senso comune. Sostiene che il fenomeno immigratorio è irrilevante per leggere alcune questioni economico-sociali. Per esempio, Grafici ISTAT e Google Trend mostrano che che non c’è nessuna relazione tra il numero degli sbarchi e il numero dei furti o degli omicidi. Inoltre le fonti rivelano che il peso fiscale diminuisce quando il numero degli immigrati è maggiore. Allo stesso tempo però la questione immigrazione è uno dei discorsi necessari, e piuttosto efficaci, ad alimentare una Politica della Sicurezza e un Giornalismo della Paura.

Il prossimo ad entrare nel cerchio rosso è Giuseppe Naretto. Il suo lavoro? Stare sull’orlo del precipizio e cercare di acchiappare vite. Non tutte si salvano. Naretto Lavora all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino nel settore di terapia intensiva. La sua attività è un perenne dialogo con l’uomo, la cura, la morte, il limite. La Vita. Un’attività ‘scomoda’ per la scienza contemporanea, che tenta di separare l’uomo dal suo esser mortale. Una vera e propria lacerazione tra persona e medicina: dove la cura è un mercato e il medico non sa più raccontare il dramma ai pazienti e ai suoi cari. “É necessario invertire rotta“, sostiene. Una medicina umanistica è possibile solo se questa accetta e riconosce la fragilità e la mortalità della persona.

A seguire Pietro Cataudella (invito il lettore a vedere la sua pagina Instagram). Siciliano e artista. Il suo progetto di cartolina 2.0 è lucida espressione creativa di una simbiosi tra tecniche illustrative e fotografiche. Le sue cartoline tratteggiano una nuova rivisitazione del paesaggio: dinamico, multi prospettico e visionario.

Dopo la pausa, il microfono passa alla nota scrittrice Chiara Gamberale. “La scrittura come linguaggio del limite”, dice. Il Cavalier Niente, personaggio di una delle sue fiabe,  è alter-ego dell’autrice nato dalla necessità di imparare a convivere con il proprio dolore e i propri limiti (…forse la medicina, per tornare al discorso di Naretto, un giorno incontrerà il suo Cavalier Niente).

Si continua ed entra in scena l’ingegnere Stefano Perassi. Dietro la sua figura di consulente emerge una persona molto attenta ai cambiamenti climatici. Con occhio acuto analizza la complessità del sistema energetico nell’era della crisi ambientale. Esamina le tesi poste nel rapporto I Limiti dello sviluppo (1972, EST). Concorda con la tesi della temporaneità della Terra e sottolinea il peso della responsabilità di gestire le risorse che questa offre e l’importanza dei mezzi, materiali e immateriali, della società. Le tecnologie inventate e promosse dall’uomo non saranno sufficienti. Alla base deve esserci una consapevolezza antropologica della temporalità del nostro pianeta, e un ridimensionamento degli orizzonti del mondo globalizzato.

Mauro Bergui, specializzato in radiologia e neurologia. “Un viaggio nei vasi del cervello per sconfiggere l’ictus” grazie allo stentriever, uno strumento in grado di aspirare il coagulo. Il risultato? Permettere almeno ad uno su due pazienti di riappropriarsi della propria quotidianitàÈ un’operazione che per ora solo pochi ospedali possono eseguire, ma sicuramente è una tecnica meno invasiva e decisamente più sicura rispetto alle precedenti.

L’ultimo relatore è Bruno Cerutti: il suo mondo è il teatro. I suoi attori sono soggetti disabili: in movimento, non categorie del sociale, non oggetti immobili nell’attesa che qualche cuore facilone si commuova. Non è teatro canonico e nemmeno sperimentale. Per Cerutti è rifugio e divertimento; è un teatro dell’errore. È teatro vivente, perché vivi sono quelli che lo abitano: “goffe grazie e danzatori imperfetti“. Nessun freddo inchino a fine spettacolo, ma solo figure che danzano e saltellano da un lato all’altro del palco: così scoordinati, così armoniosi, così ringraziano. Ricordano molto la figura di Oliver Hardy.

Unico aspetto negativo: la conduzione dello spettacolo è stata mediocre, a tratti invasiva; commenti frettolosi e ripetivi hanno rischiato di svuotare di significato i discorsi dei relatori.

I versi di Emily Dickinson ora ci soccorrono, poiché esprimono e sintetizzano l’inclinazione data dalle voci che hanno animato quest’incontro: “quel punto più profondo, / segretezza polare / che è un’anima al cospetto di se stessa – / infinità finita.” 

 

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