Concorsi

Tanti futuri

Racconto di Marco Fontana – terzo classificato al Concorso Letterario “Vita Futura” 2023

Egregio signor Bernie,
Come concordato le mando il mio racconto, le chiedo ancora perdono per il ritardo, spero che il tempo che le ho chiesto l’ultima volta, e che lei mi ha accordato, sia servito e che lei possa riconoscere tra le righe di questo brano l’uso prezioso che ne ho fatto, in caso contrario le chiedo ancora più tempo, così che possa vedere sia il tempo concesso finora sia quello che mi concederà. Le lascio di seguito il racconto e le auguro buona lettura.
Cordiali saluti.

Suo George

Tra gli animali si può scorgere molta varietà, ma in fondo è risaputo che tra noi castori si celi la mente più esperta e laboriosa e questo racconto punta a darne uno scorcio. Il nome di questo illustre castoro, come di certo saprete, è “Krosta”, a volte può essere indicativo di molte cose un nome, in questo caso non molto, se non di come sia possibile anche per una parola, che per il suo suono richiama un pezzo di pane, diventare sinonimo di genio. Qualche settimana fa ho avuto l’opportunità di passare un’intera giornata in sua compagnia e ora ve la narrerò.

Già alle sette mi sono precipitato davanti alla sua tana, è stato abbastanza pericoloso arrivarci, ma mi sono fatto coraggio e sono riuscito ad evitare gli sguardi umani, nella mia comunità si dice “sguardo umano, sciagura castora” e i detti, alle volte, hanno ragione. Sfortunatamente i rami sbarravano l’entrata e ho dovuto aspettare quindici minuti prima che il signor Krosta si accorgesse di una figura fuori dalla sua tana. Entrato in casa ho avuto la mia prima sorpresa vedendo un fuoco al suo interno e subito mi sono precipitato per batterci sopra la mia coda e soffocare l’incendio sul nascere, ma il mio anfitrione mi ha fermato appena in tempo e mi ha spiegato che grazie ad una resina era riuscito a rendere il resto dei rami ignifugo. Stupito di tanto ingegno e grato per il caldo del fuoco ho annuito e mi sono seduto sul pavimento e ho chiesto che cosa avesse in mente di fare quel giorno. Il programma, sfortunatamente, non era particolarmente denso e prevedeva nei suoi due punti principali la stesura di un racconto e l’osservazione del tramonto.

Verso le undici si è messo a scrivere e io, cercando di non disturbare mi sono seduto a qualche zampa di distanza. La scrittura era caratterizzata da movimenti rapidi della mano che potevano durare anche minuti a decine di minuti di immobilità. Alle mie domande sul testo purtroppo non ha voluto rispondere, ma mi ha concesso di inserire nel mio resoconto l’inizio del suo racconto.

“Una lumaca striscia fino a dove arriva, fino a dove può, vuole o deve arrivare. Una beccaccina, con il suo lungo becco, sonda il terreno fino a dove arriva, fino a dove può, vuole o deve arrivare. Il futuro prosegue fino a dove deve arrivare e lì si ferma. A differenza degli esseri viventi non contempla né la dimensione della volontà né della possibilità, si limita ad arrivare dove prestabilito e a fermarsi lì, sempre che si creda che si fermi. L’uomo, non facendo eccezione agli altri organismi viventi, vive come può, come vuole e come deve e, sempre conformandosi agli altri, non vive tutto il

futuro, ma solo una piccola porzione di esso e, forse per questo, a differenza del futuro può manipolarlo, seppur secondo certi limiti: l’eternità cede il passo alla volontà e questa ringrazia.”

Già solo poter avere queste poche frasi in anteprima lo ritengo un onore, nonostante non abbia voluto raccontarmi nulla sul racconto, credo che la storia si concentri sul futuro, sulla vita e sull’uomo. Andando oltre l’ovvio potrei azzardare che l’osservazione della fauna umana, per cui è famoso, è stata centrale già solo per scrivere queste poche parole e che dal tenore di queste righe dobbiamo aspettarci una storia con molti spunti filosofici. Mi perdonino i lettori se quando uscirà il racconto le mie deduzioni dovessero rivelarsi errate.

Verso le sedici ha finito di scrivere e abbiamo avuto occasione di intraprendere una piacevole chiacchierata in cui mi ha rivelato di volersi trasferire in uno “zoo” degli umani. Mi ha spiegato che lo “zoo”, nel linguaggio umano, è un giardino che racchiude moltissimi animali vivi ospitati in recinti spaziosi, che imitano e riproducono, per quanto possibile, le condizioni ambientali in cui vive per natura l’animale. Gli ho chiesto le ragioni e mi ha spiegato che crede di non essere più abbastanza giovane per poter vivere tra i castori, che pensa sarebbe un peso per la comunità e che quindi preferirebbe affidarsi agli umani, con cui, nei suoi precedenti viaggi, ha intrapreso alcuni rapporti che si sente di definire vere e proprie “amicizie”. Ha aggiunto che all’interno di uno zoo potrebbe studiare alcuni animali che finora non ha mai visto e che potrebbe approfondire la fauna umana di piccole dimensioni che lui chiama “bambini”, mi ha raccontato di grandi comitive di bambini che vengono con i loro genitori allo zoo nei weekend o durante la settimana con gli “insegnanti”, sfortunatamente mi sono dimenticato di chiedere il significato di questo termine, ma dal suono credo indichi una particolare specie umana che intaglia il legno o che comunque modella qualcosa, potrebbe avere anche a che fare con un gruppo di persone che si occupa del futuro, il suono, come dicevo, mi ricorda il legno e per noi castori il legno equivale al futuro. Chissà, forse sono loro che costruiscono le tane degli umani dentro cui vivono, o forse sono loro a creare le dighe che contengono l’acqua di questi fiumi, che gli danno la direzione e decidono fino a dove si dovranno spingere questi. Spero non rida di me il signor Krosta leggendo queste mie fantasiose ipotesi, semmai, se vorrà, gli chiedo di mandarmi la definizione corretta di questo termine così suggestivo.

Verso le diciannove è finalmente giunto il tramonto e il momento di separarci, siamo usciti dalla tana e abbiamo osservato dalla costa il cielo tingersi delle sue caratteristiche sfumature. Mentre annotava descrizioni del tramonto, dei suoi colori e gradazioni, il signor Krosta mi ha raccontato che il sole a quest’ora gli mette addosso molta tristezza perché gli ricorda che non gli rimane più molto tempo prima di dover dire addio alle sue ricerche e ai suoi affetti. Inoltre mi ha confidato che da giovane il futuro gli sembrava sterminato, colmo di speranze, aspettative, ma che ora, avendo vissuto quello che allora per lui era il futuro non gli sembra che le aspettative siano state ripagate, ma che infondo, forse avrebbe voluto condurre un’altra vita. Io prontamente l’ho consolato, gli ho detto che la sua vita è un esempio per tutti e che tra tutti i castori è considerato dalla larga maggioranza il migliore, ma questo sembra non essere servito a molto dato che dopo mi ha risposto “una vita che è un esempio per tutti è una vita mediocre, una vita per tutti, una vita immaginaria, non esistono

realmente vite così, sono idealizzazioni, se vorrai rendere la tua vita futura identica alla mia sappi che soffrirai, il futuro, al contrario di quello che certi filosofi pensano, non è un eterno ritorno, non torna mai uguale, io che sono un etologo l’ho scoperto tanti anni fa, la vita non ama la ripetizione, ma la varietà e il futuro non fa eccezione”. Non ho saputo rispondere a queste parole, mi sono limitato a ringraziare per il consiglio e, con una calorosa stretta di zampa, ci siamo salutati.

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