Studenti sfigati. Quanto indigna la verità
di Giovanni Cervi Ciboldi
Sarà che “sfigati” è troppo diretto per noi, che avremmo preferito parole più dolci, già attanagliati dalla disoccupazione, già provati da quel “bamboccioni” la cui somatizzazione ci è costata tanta fatica. Sarà che una presa di coscienza ogni cinque anni è troppo, che veder crollare in dieci parole tutte i ponti che ci siamo fatti è una vera violenza, noi che “l’università è una realtà complessa”, noi che alla scomodità del significato preferiamo la parafrasi del significante.
Allora parafrasiamo: i giovani indecisi che scelgono l’università senza cavare un ragno dal buco per dieci anni avrebbero fatto meglio a scegliere una diversa via. Che angheria, sentir dire da qualcun altro quello che tutti abbiamo pensato almeno una volta, davanti ad individui non certo indigenti che frequentano l’università a fini di pubbliche relazioni, rigorosamente dopo mezzogiorno.
Meglio allora valutare quanto vera possa essere una provocazione, anziché insorgere in gruppo come prematuramente hanno fatto molti rappresentanti degli studenti. I quali non fanno menzione del fatto che le persone che hanno eretto ad esempio di laureati “tardivi”, ovvero coloro che lavorano e studiano contemporaneamente, sono spesso le più determinate nello studio perché ne conoscono il valore; né hanno concesso che tra le molte persone che si laureano a trent’anni vi siano studenti le cui non certo brillanti performances derivano da scarsa determinazione ed impegno inadeguato.
Non basta, per far fronte a questo pungolo, annidarsi con chi, per motivi lavorativi, familiari o economici non riesce a compiere un percorso di studi regolare. Per molti di questi laurearsi a 28 anni è comunque una anomalia: addottorarsi in 10 anni significa superare dai 2 ai 3 esami all’anno in un corso di laurea triennale. Ma il viceministro non stava parlando di eccezioni o singolarità, per le quali è ovvio nutrire la massima stima e rispetto.
Non serve affrontare grandi temi nascondendosi dietro alle anomalie. Non serve nemmeno alzare barricate e dichiararsi “indignati” e “offesi”. Una chiusura con tanto di scivoloni e gaffes, visto che parecchie organizzazioni studentesche accusano Martone di non conoscere la realtà universitaria, rivelando in realtà di essere loro ad ignorare che il loro interlocutore sia un docente di Diritto del Lavoro a Teramo, tra l’altro con un curriculum invidiabile, data la giovane età. Uno che di università, insomma, sa qualcosa.
Una risposta fatta di sola indignazione e risentimento non è utile a nessuno. Meglio il silenzio, ancora meglio invece ammettere che di perdigiorno l’università italiana è piena, che molti atenei sono fabbriche di carta straccia, che in fondo i più meritevoli, anche tra tante difficoltà, ce la possono fare.
Vogliamo negare a noi stessi anche la sproporzione tra il numero delle persone iscritte alle facoltà umanistiche e la presenza delle capacità e conoscenze richieste per trovare posti di lavoro in linea alle proprie aspettative? Vogliamo negare la presenza di lauree che sono fabbriche di disoccupazione? Vogliamo negare la discrasia tra l’attrazione esercitata dal valore legale della laurea e l’effettivo grado di interesse ed impegno negli studi?
Ne siamo tutti perfettamente consci, ma solo pochi sanno mettere da parte i benefici che da queste situazioni hanno tratto e trarranno per ammettere la totale discrasia tra la convenienza razzolata e le necessità predicate.
Prima si vuole il merito, ma non appena si afferma la necessità di allargare gli obblighi al test d’ingresso si parla di “uguaglianza oltraggiata”. Poi ci si lamenta dell’eccessivo numero di corsi di laurea, ma ad ogni razionalizzazione si manifesta gridando ai “diritti violati”. Infine, la discussione sul valore legale della laurea si ferma sempre a un coacervo di interessi personali e ideologie contrapposte.
La difesa degli universitari più deboli passa anche da questo: da una università che premia il merito e condanna la svogliatezza, dal riconoscimento di una effettività diversa da quella descritta a slogan in manifestazioni spesso puramente ideologiche. Dalla rinuncia alla demagogia per un approdo alla realtà. Che non è affatto quella che ci siamo inventati.
Non si può non riconoscere che le parole di Martone, seppur offensive, abbiano un fondo di verità.
Inoltre, martedì sera alla trasmissione “Otto e mezzo” (La7) ha espresso la sua opinione sull’argomento anche Vittorio Feltri, dando anch’egli dei cretini ai non laureati ultraventottenni, difendendo però quelli che nel corso degli studi hanno anche lavorato. E questa mi sembra una distinzione piuttosto importante che il viceministro non mi sembra abbia fatto.
Vorrei però ribattere sostenendo che una carica istituzionale così importante (che abbia ragione o meno) dovrebbe pesare le parole e non uscirsene con certe affermazioni (a riguardo, si può ricordare il “bamboccioni” che l’ex Ministro dell’Economia Padoa Schioppa diede ai ragazzi che vivono con i genitori).
Un rappresentante dello Stato dovrebbe portare rispetto per i cittadini, anche se per alcuni dei quali ha opinioni non positive.
In ultimo, vorrei commentare una frase presente in questo articolo: “Sarebbe stato molto più costruttivo ammettere che di perdigiorno l’università italiana è piena”.
Verissimo. Però è anche vero che questi perdigiorno l’università la pagano e in quanto suoi finanziatori hanno diritto a essere trattati al pari di qualsiasi altro studente.
Perciò, uno di questi “perdigiorno” potrebbe rispondere al buon viceministro: «E a lei che gliene frega? Io pago le tasse universitarie e il tempo in cui mi laureo non è affar suo».
Io trovo che il problema fondamentale sia nella concezione di università e sia Martone che l’autore dell’articolo mi paiono essere caduti pienamente in questo errore: l’università non è un luogo dove imparare una professione, è un luogo da cui diffondere conoscenza. Per educare alle professioni ci sono, appunto, gli istituti professionali.
Si parla in questa sede di “perdigiorno”: io sono una studentessa fuori corso in triennale ma non mi sento certo una perdigiorno dato che, pur non lavorando, mi occupo di altre attività che potranno essere utili per la mia futura vita professionale molto più dell’esame di Linguistica italiana. Parallelamente, ci sono molti studenti laureati perfettamente in corso che – scusate il francesismo – non capiscono un cazzo.
Se finalmente la laurea smettesse di essere solo un “pezzo di carta” fondamentale per trovare un lavoro (che poi in effetti anche su questo si potrebbe discutere, ma è comunque l’immaginario comune) ci sarebbero molti meno perdigiorno, oltre che molti meno iscritti, e molti più studenti convinti di quello che fanno.
sappiamo tutti che è diventato docente universitario a 29 anni, parecchio al di sotto della media direi
non ha fatto nemmeno in tempo a laurearsi che subito ha iniziato un dottorato, poi ricercatore e infine professore
probabilmente l’università manco l’ha vista tanto andava di fretta
per chi sa come vanno i concorsi per un posto di dottorato direi che non c’è bisogno di commentare
La distinzione che ha fatto Feltri l’ha fatta anche il ministro: http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/20120124_192900.shtml
Comunque, se l’università fosse solo un posto dove “condividere la conoscenza”, allora basterebbero dei buoni libri da farsi prestare. Ma non è così (nemmeno per i libri, che circolano troppo poco). L’università è un luogo dove delle persone ottengono una preparazione consona al proprio volere e alle proprie esigenze, un luogo in cui un giovane prepara il suo percorso lavorativo.
Inoltre, è ovvio e sono d’accordo sul fatto che “uno che paga le tasse universitarie è libero di stare fuoricorso”. Infatti, nessuno dice il contrario, nemmeno il ministro. Nessuno gli dà del criminale. Si dice solo che sarebbe più utile per lui studiare davvero oppure rendersi utile a se stesso e agli altri in altro modo. Mi sembra che sia una cosa indiscutibile. In molte università americane si ha un anno solo per stare fuoricorso. E’ una impostazione seria. In Italia sarebbe considerata assassina.
Poi, dire “la laurea non deve essere solo un pezzo di carta” significa ribadire un luogo comune. Non è solo un pezzo di carta, ma un documenta che dimostra acquisite competenze. Che spesso non servono solo ad ottenere un determinato lavoro, ma anche ad ottenere un livello di coscienza superiore su quello che sta intorno a noi. Se invece, ci si riferisce al valore legale, sono d’accordo per abolirlo. E non solo a parole.
Davanti a una banalità come quella detta dal viceministro, davanti a tutti quelli studenti che spesso mi trovo intorno e che non fanno nulla e che si lamentano, davanti a quelli parcheggiati all’università che, convinti di essere grandi eroi, anziché informarsi davvero su riforme, idee e sulla realtà delle cose, scendono in piazza sfoderando solo le idee che gli vengono impartite, credendosi migliori degli altri, mi stupisco che gli studenti che studiano davvero o che “fanno attività utili al proprio futuro” non siano d’accordo con quelle parole.
Ma la storia è sempre la stessa: finché gli studenti non la smetteranno di essere attori politici, di parlare il politichese, e si riapproprieranno di un modo di pensare davvero utile al loro futuro, non cambierà nulla.
E a tutti quelli che si sono lamentati, che hanno chiesto al ministro delle scuse anziché dimostrargli che anche in Italia è possibile avere numeri come le altre nazioni, a tutti quelli che come sempre scenderanno in piazza a urlare contro una riforma solo perché proposta da una parte politica diversa da quella maggioritaria, dico che le idee che propinano non sono più nobili di quelle degli altri. Se volete essere davvero utili a voi stessi e alla società, o state a casa a studiare, o andate a lavorare. E’ banale. Ed è quello che ha detto Martone, il quale non doveva chiedere scusa. E io aggiungo: tra le due opzioni, meglio studiare, visto che, ad ogni manifestazione, quando arrivano i giornalisti, gli studenti in piazza dimostrano di non conoscere nemmeno l’oggetto contro cui stanno protestando.
“La distinzione che ha fatto Feltri l’ha fatta anche il ministro: http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/20120124_192900.shtml”
Bè, è palese che l’ha aggiunto dopo per pararsi il culo…
a proposito di martone
http://www.repubblica.it/rubriche/la-scuola-siamo-noi/2012/01/26/news/martone-28824446/
E poi. Mi sembra offensivo ed estremamente riduttivo, nel tuo ultimo commento definire “quelli studenti che spesso mi trovo intorno e che non fanno nulla e che si lamentano, davanti a quelli parcheggiati all’università che, convinti di essere grandi eroi, anziché informarsi davvero su riforme, idee e sulla realtà delle cose, scendono in piazza sfoderando solo le idee che gli vengono impartite”. Io ho partecipato alle mobilitazioni con idee mie, che non mi sono state impartite da nessuno, ed essendomi informato sui fatti. Se in certi contesti ci sono stati, certo, ideologismi o persone disinformate, non puoi generalizzare in questo modo, ho avuto modo di confrontarmi, all’interno delle proteste contro i tagli prima e contro il ddl gelmini poi con menti brillanti, idee molto diverse tra loro, studenti lavoratori e studenti con la media del 30. Il fatto che tu non condivida il motivo per cui loro protestano non significa che chi lo fa non sia cosciente delle proprie azioni.
Inoltre il fatto che degli studenti non si limitano a studiare le materie attinenti al loro percorso di studi, ma che vadano ad interessarsi ed a studiare questioni riguardanti la politica e l’economia (ho fatto parte di gruppi di studio, all’epoca dei tagli della 133, nei quali, da studente di economia del primo anno, ho avuto modo di affrontare e confrontarmi su argomenti molto complessi ed interessanti, non presenti nel mio piano di studi) dovrebbe essere visto come un valore aggiunto, visto che tra l’altro il dissenso è un principio democratico fondamentale. Se un qualsiasi governo legittimamente eletto da una maggioranza (di solito relativa) approva una riforma o una legge finanziaria che, in quanto tale, ha un effetto redistributivo, in una democrazia è legittimo ed anzi desiderabile che ci siano voci di dissenso più o meno forti (purchè ben informate, sono daccordo) tuttalpiù se questa contribuisce a sensibilizzare parte della popolazione sui questioni importanti come l’università e a stimolare il dibattito. Tu forse continuerai a pensare che siamo una massa di ideologizzati trinariciuti, ma ti assicuro che ho avuto discussioni innumerevoli sulle questioni più disparate con gente della mobilitazione, ed ho trovato punti di vista enormemente diversi dai miei su molte questioni. Chiudo questo commento e vado a studiare, perchè nonostante io sia evidentemente un fannullone ogni tanto studio anche la notte;). Arrivederci.
Diciamo che, per mia fortuna, Luke si è sprecato prima di me a scrivere cose che stavo pensando mentre leggevo il commento di Giovanni, così metà commento me lo sono risparmiato.
A quanto vedo, siamo su due piani completamente diversi di discussione: Giovanni, parli da individualista, io e Luke parliamo da collettivisti, se così si può dire. All’università ho imparato molto di più da una cosa che si chiama AUTOFORMAZIONE, in mobilitazione, grazie ai gruppi di studio cui si accennava o, semplicemente, discutendo con gli altri, piuttosto che da lezioni frontali di professori vecchi e presuntuosi o da esami in cui mi chiedevano di ripetere la pappardella del libro senza considerare che io potessi avere un pensiero differente da quello dell’autore. Questo, come dicevo sopra, snatura completamente ciò che l’università dovrebbe essere. Mi ripeto, se vuoi essere formato per un lavoro non dovresti aver bisogno di andare all’università. Tant’è che, mi viene in mente ora, per “insegnarci la professione”, gli atenei stessi ci mandano a fare stage non pagati in accordo con aziende che ne approfittano spudoratamente per avere manovalanza gratuita. Se non fa schifo questo… ma evidentemente la deriva aziendalista dell’università a te e a molti altri va bene e, probabilmente, sarai d’accordo anche con lo sfruttamento del lavoro con la scusa di “imparare” (a fare le fotocopie?)
Scusami, ma mi sento molto meno “indottrinata” di te. Buona giornata.
@Francesco
Magari l’ha detto per pararsi il sedere, ma a me è sembrato piuttosto onesto.
@Luke e Emme
Le operazioni di killeraggio non mi interessano. Giudico quello che una persona dice, indipendentemente da chi sia.
Io posso anche condividere il motivo per il quale manifestano, ma so chi sono quelli che lo fanno. Se voi avete trovato modo di discutere alla pari, siete stati fortunati. Io per aver scritto un articolo criticando i cortei contro la Bocconi, ho ricevuto due mail, di cui una: “Fascista di merda, se esci di casa ti veniamo a prendere”, e l’altra sulla quale è meglio sorvolare. Inchiostro, per aver sostenuto in passato posizioni diverse da quelle dei collettivi, è stato boicottato. Apprezzo invece che voi commentiate e parliate qui, ma mi pare che la distanza tra le posizioni sia siderale, e che sia necessario un bel bagno di realtà. Io non sono contro le manifestazioni a priori, sono contro la totale non-costruttività con il quale vengono fatte, contro l’idea che degli studenti passa, contro la bieca opposizione a tutto senza che mai venga lanciata una idea nuova.
Mi sembra evidente che la critica al discorso secondo cui università sarebbe un modo di offrire strumenti per il futuro sia puramente pretestuosa. Allora perché la frequenti? Perché la paghi? Meglio l’autoformazione gratuita? Allora dai esami per avere un pezzo di carta? Allora si predica bene e si razzola male? Sarà anche una iperbole, ma se hai imparato di più nelle manifestazioni che all’università, non capisco allora perché tu ti voglia laureare.
Per quanto riguarda gli stage non pagati, sono l’unico modo che hanno a disposizione gli studenti per entrare in contatto prima della laurea con la realtà lavorativa. Capisco che sia lavoro non pagato, che si possa vivere male, ma la banale realtà è che se uno studente in stage fosse pagato, in molti casi non sarebbe nemmeno accettato dalle aziende (tant’é che la legge lo impone, non lascia libera facoltà). Inoltre, ci vuole del coraggio, in un momento come questo, in cui nemmeno chi conosce perfettamente una professione riesce a trovare un impiego, a criticare l’opportunità data dai tirocini gratuiti, visto che rischiano di essere davvero l’unica occasione per uno studente di mostrare quanto vale, occasione che a molti altri lavoratori è completamente negata. Ma certo, anziché vederli comunque come una opportunità, anziché rimboccarsi le maniche, si grida allo sfruttamento del lavoro, alle aziende assassine. Il discorso è sempre lo stesso. Gridiamo al merito, ma guai a mettersi in gioco. Guai a riconoscere che il prossimo è più bravo di noi: è di sicuro raccomandato. Pretendiamo di laurearci in cinque, sette, dieci anni, e poi, solo perché siamo noi, di trovare subito il lavoro che vogliamo, perché noi siamo laureati, perché abbiamo un pezzo di carta. Guai a tenere duro, a riconoscere che le lauree umanistiche per il mondo di oggi dovrebbero essere drasticamente ridotte, guai a fare le fotocopie (meglio scaricare i camion?) e a cercare in ogni modo di dimostrare che si sa fare qualcosa: noi abbiamo la laurea. Chi non accetta compromessi in questo periodo, non è più nobile degli altri, ne ha più o meno valori. E chi lavora gratis per un anno cercando di dimostrare il proprio valore, non è un imbecille “piegato al sistema” o altre baggianate simili, è solo chi cerca di dimostrare la propria voglia di fare. E, regolarmente, è quello che alla fine ce la fa.
Non mi sembra che tu abbia risposto alla mia considerazione, e mi sembra che il presupposto dal quale parti è che io sia uno svogliato che non ha contatti con la realtà, senza sapere chi sono, come la penso e quanto impegno metto nello studio. Io sono il primo a criticare le posizioni precostituite e la prepotenza di alcuni all’interno del movimento, ma ti invito a parlare con le persone prima di dire che noi siamo stati fortunati a trovarne di aperte e non preconcette, e forse ti accorgerai che non è tutto bianco o nero. E per inciso, non ho detto di avere imparato dalle manifestazioni più di quanto ho imparato all’università, solamente di avere approfondito su alcune tematiche, ciò non toglie che io voglia laurearmi in una materia che mi piace molto e con la quale penso di poter essere utile. Io stesso critico chi si parcheggia in università, ma le situazioni sono spesso molto differenti e vanno valutate. Ma sono daccordo sul fatto che le distanze tra noi sono siderali, dunque chiudo la conversazione ed ancora una volta, vado a studiare.
Non parto da nessun presupposto, non mi sono minimamente permesso di giudicarti e non sto semplificando nulla, e quando parlo di comportamenti diffusi, sei libero di sentirti escluso o tirato in causa da essi. Mi pare ovvio che io non possa sapere quali siano le tue posizioni, se non quelle che scrivi. Ma vedo che non mi si risponde nel merito. Io riporto solo quello che vedo (vittimismo), e invito a ragionare su fenomeni visibili. Se tu come me non parti da posizioni precostruite, e le discerni dalla realtà, allora almeno in questo siamo sulla stessa lunghezza d’onda.