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“Storia di un capotreno e di Trenord che gli insegnò a ritardare”

Giovedì pomeriggio, ore 16.45, S13 Pavia-Milano Bovisa: arrivato alla stazione di Milano Rogoredo il treno si ferma, spegne le luci e per alcuni minuti lascia tutti i passeggeri sbigottiti e innervositi per l’ennesima “bizza” di una Trenord che sorprende tutti ogni giorno di più. I pendolari iniziano a spazientirsi, le coincidenze li aspettano e la stanchezza accumulata nella giornata lavorativa di certo non aiuta. Così, a capo chino sulle dispense di Sociologia (valido alibi per ogni tentativo di mimetizzazione sul treno), inizio ad origliare discorsi e commenti dei miei compagni di sventura. Nella marea di turpiloqui ed espressioni non molto fini (colti estratti dei migliori manuali per pendolari imbruttiti) sono però riuscita a distinguere qualche interessante osservazione che ha richiamato la mia attenzione distogliendomi per un attimo dai miei studi “matti e disperatissimi” e che ha provocato in me una sorta di mistica illuminazione.

Due signori, sicuramente di ritorno dal lavoro, discutevano riguardo i continui ritardi e soppressioni dei treni degli ultimi tempi e uno di loro, probabilmente facente parte della rigogliosa schiera dei complottisti, ha affermato che “se i macchinisti fanno ritardo, Trenord li paga di più perché sono come degli straordinari”.

Al che sinceramente, lì per lì, sono rimasta un attimo basita, pensando veramente che troppa gente al giorno d’oggi probabilmente fa indigestione di teorie complottiste e altre fandonie di quel tipo alla Alan Kadmon… Poi però la frase di quel tale ha iniziato a rimbombarmi nella testa e ad ossessionarmi fino a che, dopo essere arrivata a Bovisa e aver visto che sorprendentemente gli unici due treni che avrebbero potuto riportarmi a casa erano stati soppressi, ho iniziato seriamente a pensare che quell’uomo dopo tutto non avesse poi così torto.

Perciò, dopo mille peripezie, quando sono arrivata a casa mi sono messa a cercare qualche informazione in più su internet e ho capito finalmente che “l’Illuminato” del treno aveva ragione. Ora forse voi direte “hai scoperto l’acqua calda, brava!”; probabilmente lo sapevano già tutti tranne me, o magari no. Sta di fatto che ho scoperto qualcosa che mi ha lasciata alquanto perplessa: Trenord paga davvero una percentuale in più a tutti quei macchinisti che “sforano” sulla tabella di marcia della propria tratta!

O meglio, fonti più o meno attendibili affermano che questo paradossale “cerchio magico” ferroviario, legittimato da un vero e proprio articolo, il numero 54 del contratto di lavoro aziendale, è stato già chiuso con la modifica della norma stessa. Quindi ad oggi, teoricamente, nulla di tutto ciò dovrebbe più avvenire.

Fino al febbraio 2015, infatti, pare che alcuni macchinisti della compagnia ferroviaria Trenord si siano serviti del famoso articolo 54 per guadagnare uno stipendio più alto perché, come sosteneva saggiamente il mio vicino di sedile, i ritardi di una certa quantità di tempo venivano considerati straordinari se dichiarati come tali. Peccato che di per sé la legge stabilisse semplicemente il diritto di un qualsiasi lavoratore di percepire 15 € di bonus extra per ogni 20 minuti di lavoro in più del previsto. Di conseguenza i capitreno più furbetti hanno pensato bene di mettersi a fare le equivalenze e così i 20 minuti di lavoro extra si sono trasformati nel ritardo minimo del treno e i 15 euro, nella percentuale che essi percepivano ogni qualvolta decidessero di giocare “al gatto e al topo” con le loro povere cavie da laboratorio: i pendolari. Chiaramente, due più due fa quattro e moltiplicare i 15 euro a ritardo per tutti i ritardi di una settimana diventa operazione facile. Insomma per un bel po’ di tempo, almeno una trentina di macchinisti di Trenord (per fortuna la maggioranza di loro è onesta) si sono “arricchiti” sulle spalle dei contribuenti sempre più arrabbiati, sempre più combattivi, che alla fine, dopo molte proteste e scandali sono riusciti ad ottenere (o almeno sembrerebbe) il cambiamento dell’articolo 54. Morale della favola: teoricamente, ad oggi, di queste piccole truffe non dovrebbero accaderne più.

Così ora forse dormiremo sonni tranquilli e cercheremo di convincerci, in buona fede, che i ritardi, seccanti inconvenienti ormai, ahimè, all’ordine del giorno, siano dovuti ad una miriade di altri motivi dal guasto, al guasto… al guasto… No, ok, forse non se ne trovano poi così tanti di buoni motivi… Ma d’altra parte non è nemmeno corretto vedere inganni e manipolazioni ovunque come il signore dalle manie complottiste che, tra le altre cose, alla fine ha perso anche la coincidenza e forse provava a spiegarsi così quel dannato ritardo che gli avrebbe rovinato la serata. Un disperato tentativo, operato da tutti noi, di autoconvincerci che non viviamo oggi nella civiltà delle macchine e che alla fine anche i treni sono macchine: per ogni volta che funzionano bene, ve ne sono altre mille per cui si inceppano, rompono, ribellano al dominio dell’uomo che in fin dei conti pensa di poterle controllare alla perfezione, ma non sempre ci riesce.

Chissà… il dubbio a questo punto sorge legittimo, intanto lascerei a voi la riflessioni: siete anche voi dei complottisti come il signore della porta, pardon, del sedile accanto, o in fondo credete ancora nell’intima bontà dell’uomo?

 

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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