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Stato-mafia: la trattativa continua

E’ una vita lunga 150 anni quella delle mafie e ancora oggi sembra impossibile porre fine a questo fenomeno. Ne ha parlato il magistrato Nino Di Matteo nell’aula del ‘400 dell’Università di Pavia lunedì 6 novembre, in occasione del quinto incontro della rassegna “Mafie legalità e istituzioni”, organizzata dal Coordinamento del Diritto allo studio UDU e dall’Osservatorio Antimafie di Pavia. Animatori del dibattito il giornalista Saverio Lodato e Paolo Renon, professore di Procedura penale del Dipartimento di Giurisprudenza.

La mafia è diversa dalle altre organizzazioni, ha spiegato il magistrato, perché non è un semplice fenomeno criminale ma è un fenomeno di potere. Il crimine non è l’aspetto principale ma è soltanto uno degli aspetti. La mafia si comporta infatti come potere relazionato: non si contrappone alle autorità legittime come quella statuale, ma cerca di creare relazioni radicandosi all’interno della società e stipulando accordi con la politica. Paolo Borsellino diceva infatti: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.”

L’obiettivo a cui le Istituzioni dovrebbero mirare sarebbe quello di debellarla completamente dal nostro sistema sociale e politico ma la lotta alla mafia è scomparsa dall’agenda politica del nostro paese e il legame e la complicità tra mafia e Istituzioni si rafforzano sempre di più.

“Si sente parlare di presunta trattativa. Non è così. I giudici della Corte d’Assise di Firenze scrivono in una sentenza definitiva che indubbiamente la trattativa ci fu e fu lo Stato a cercare Cosa Nostra legittimandola e rafforzandola. In un’intercettazione venne chiesto a Vito Ciancimino -cos’è questo muro contro muro, non si può parlare con i capi della mafia?-” così ha spiegato il giudice, Pubblico Ministero nel processo sulla trattativa Stato-mafia che va avanti da quattro anni. È il primo processo che vede alla sbarra contemporaneamente capi mafia, uomini politici e rappresentanti delle forze dell’ordine.

Tra gli anni ’70 e ’90 infatti ci fu una serie di omicidi detti delitti eccellenti. Vennero assassinati politici come Pio La Torre e Piersanti Mattarella, poliziotti, magistrati, giornalisti. Erano delitti mirati, ai quali lo Stato non rispose.

Ma nel 1984 il clan dei Corleonesi subì un duro colpo. Il pentito Tommaso Buscetta fece nomi, raccontò la struttura e il funzionamento di Cosa Nostra. Mai nessuno aveva rivelato informazioni così importanti. Un gruppo di magistrati guidati da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ascoltò quelle dichiarazioni, le rielaborò e le utilizzò per il Maxi Processo di Palermo.

I due magistrati vennero a conscenza delle infiltrazioni mafiose all’interno delle Istituzioni: per questo le stragi di Capaci e Via d’Amelio non furono soltanto omicidi di mafia, ma videro la complicità delle Istituzioni e delle più alte cariche dello Stato.

Il giudice Di Matteo continua citando alcuni nomi dei politici che hanno avuto rapporti molto ravvicinati con la mafia: il senatore Giulio Andreotti, per sette volte Capo del Governo; Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, due Presidenti della Regione Sicilia Raffaele Lombardo e Salvatore Cuffaro.

Oggi, come spiega il magistrato, si può parlare di politica dell’attesa della sentenza della magistratura. Infatti quando si ha notizia di un legame tra un esponente politico e un mafioso ci sono due reazioni. La parte politica a cui appartiene l’indagato o parla di un complotto e di strumentalizzazione da parte della magistratura, oppure aspetta la sentenza definitiva. Ma oltre alla responsabilità penale esiste una responsabilità politica che, in questo modo, viene messa da parte e alla quale invece bisognerebbe rispondere. Lo Stato infatti potrà sconfiggere la mafia solo quando la politica sarà in prima linea nella lotta: con l’esempio, la promozione di leggi e misure di prevenzione.

Il giudice ha chiuso il suo intervento con un appello forte rivolto a tutti: “La mentalità mafiosa sta pervadendo il tessuto sociale del nostro Paese, le mafie costituiscono il fattore di inquinamento più evidente della nostra democrazia. Uccidono l’uguaglianza tra i cittadini, le libertà individuali, il diritto all’istruzione, all’impresa e la libertà di voto. Vedo sempre meno nelle persone la capacità di indignarsi davanti a tutto questo, bisogna reagire invece. I diritti e doveri della nostra Costituzione non possono stare solamente scritti, bisogna difenderli per viverli.”

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