CulturaLetteraturaMusica

Sono solo canzonette? Poesia, lingua e canzone

L’affannosa questione della presenza o meno di tracce di poesia all’interno dei testi di canzoni, o della possibile elevazione al rango di poesia dei testi per musica, è ormai da parecchio tempo aperta in Italia, e negli ultimissimi anni ha raggiunto anche il dibattito intellettuale, che a diversi livelli ha cercato di fare un po’ di chiarezza.

Dopo una serie di contributi sociologici, creatisi a partire dagli anni ’70, di canzoni inizia ad occuparsi anche la linguistica italiana, la disciplina maggiormente specialistica per quanto concerne parole e testi, e lo fa con un intervento pionieristico e decisamente incisivo del 1977, firmato da Tullio De Mauro. Il celebre linguista per primo mette in relazione i testi dei cantautori genovesi degli anni ’60 con le liriche dei crepuscolari italiani, sostenendo che la quotidianità linguistica, entrata nella poesia italiana con Guido Gozzano (e in seguito portata avanti da un numero considerevole di poeti, tra cui i giganti Ungaretti e Montale), era approdata in canzone, con circa cinquant’anni di ritardo rispetto alla poesia, a partire dai testi dei cantautori genovesi (come Gino Paoli, Luigi Tenco e Fabrizio De André), che avevano così spazzato via una patina di aulicità, retorica e pseudo-poeticità che caratterizzava i testi delle canzonette italiane fino alla fine degli anni ‘50. Questo intervento di De Mauro ha incontrato quella che era una nuova percezione maturata in parallelo in modo massiccio dal pubblico dei cantautori: i testi dei cantautori sono poesie. Siamo negli anni in cui vengono definiti cantautori gli autori di canzoni impegnati nella sfera politica e sociale, e in cui gli stessi cantautori vengono spesso santificati dal proprio pubblico (parlo soprattutto di De André, Guccini e in parte di De Gregori e Vecchioni), a tal punto che uno di loro, appartenente alla cosiddetta seconda generazione (quella dei più giovani), fu costretto, poco dopo (nel 1980), a rispondere molto perentorio: «non mettetemi alle strette / sono solo canzonette», cercando così di liberarsi da quell’eccessiva responsabilità che il pubblico sembrava richiedere alla sua categoria.

 

La questione attualmente è ancora assai viva, ed è stata riaperta ancor più incisivamente dall’assegnazione del premio Nobel per la letteratura 2016 a Bob Dylan, premiato per «aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana». Dopo questa consacrazione illustre, pare ormai evidente che si possano creare nei testi di canzone “nuove espressioni poetiche”. Si ritorna così alla questione di partenza: che rapporto intercorre tra i testi di canzone e la poesia?

 

Una risposta penso che la possa dare lo studio della lingua. La poesia lirica italiana ha una ricchissima tradizione, e la maggior parte dei suoi testi (fatta eccezione soprattutto per i madrigali cinquecenteschi e per i libretti dei melodrammi seicenteschi) sono nati per essere letti. I testi delle canzoni nascono invece in simbiosi con la musica, con la quale intrecciano un complesso rapporto di interdipendenza, nascendo sostanzialmente per essere cantati. La parentela con la poesia si ha nel momento in cui entrambe le tipologie di testo utilizzano gli stessi materiali linguistici, come per esempio la  «quotidianità linguistica» di cui parlava De Mauro (realizzata nelle espressioni, nel lessico, nella sintassi,…), o le «nuove espressioni poetiche» che hanno consacrato Dylan.

Compito di questa rubrica sarà dare voce alla linguistica italiana, per capire, partendo esclusivamente dai testi (ma tenendo sempre sullo sfondo melodie, armonie e interpretazioni), come si sia sviluppato questo scambio di materiali linguistici dalla poesia ai testi per canzoni, perché anche la canzone possa finalmente assumere una propria dignità (anche letteraria) autonoma, esattamente come è avvenuto per la letteratura teatrale, e lo faccia concentrandosi su quell’elemento che, tra i tre che la caratterizzano (testo, musica e performance), più è strettamente imparentato con le forme letterarie, ossia il testo, perché, come ha affermato recentemente uno dei padri della nostra canzone d’autore, Roberto Vecchioni, «la letteratura è l’arte delle parole, non importa se esse siano scritte, disegnate o cantate».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *