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Sicilian ghost story: una fiaba?

«La Sicilia è tutta una dimensione fantastica. Come ci si può stare dentro senza fantasia?»

Così diceva Leonardo Sciascia parlando della sua terra. Per resistere e vivere in una terra ricca di bellezza, ma in mano alla criminalità organizzata, che spesso rivela il suo lato bestiale e disumano, è necessario dare spazio alla fantasia. A volte non basta la conoscenza per salvarsi ma è indispensabile l’immaginazione.

E in questo modo hanno ragionato i due registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, del film Sicilian ghost story, proiettato giovedì 1 marzo al Cinema Politeama di Pavia. La serata è stata organizzata dal Presidio territoriale Libera di Pavia, dedicato a Rossella Casini e Marcella Di Levarno, uccise rispettivamente da ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita, e si inserisce nella serie di eventi, i “100 passi verso il 21 marzo”, in vista della giornata-memoria delle vittime di mafia.

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Il film racconta, in chiave fiabesca, una storia d’amore tra Luna (Julia Jedlikowska), una ragazzina siciliana, e di Giuseppe (Gaetano Fernandez), suo compagno di classe. Giuseppe scompare misteriosamente, una sparizione che Luna non riesce a comprendere. È sola nel tentativo di dare una risposta a quanto accaduto. Intorno a lei c’è solo il silenzio: il silenzio dell’ indifferenza e dell’omertà perché il padre di Giuseppe è coinvolto nella criminalità organizzata. Luna decide di non rassegnarsi, di ribellarsi, e per fare in modo che questo silenzio non diventi assordante affronta i pericoli del labirinto oscuro che sembra aver inghiottito il ragazzo.

Entra in conflitto sia con la famiglia, soprattutto con la rigida ma fragile madre svizzera, con i compagni di classe e anche con la migliore amica.

Luna crede che Giuseppe si possa salvare perché appare continuamete nei suoi sogni strani, e come dice lei stessa: «Se ti sogni una cosa significa che può esistere», per questo vuole assolutamente ritrovarlo.

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“La natura nella quale Luna è immersa non è la macchia mediterranea tipica siciliana, densa di profumi e di colori, ma è una natura bestiale e primordiale.”, così ha commentato il critico Roberto Figazzolo.

I luoghi più ricorrenti del film infatti sono un lago e un bosco: l’acqua del lago è buia e torbida e il bosco oscuro sembra incantato; la cantina della casa di Luna è una caverna di roccia naturale, così come è rocciosa la prigione di Giuseppe dove il ticchettio dell’acqua che sgocciola accompagna il passare delle sue giornate.

Il film è dedicato a Giuseppe Di Matteo, un ragazzino di soli 12 anni, tenuto prigioniero in un bunker dal clan dei Corleonesi per 779 giorni (tre anni), prima di essere assassinato l’11 gennaio del 1996. Era il figlio di Santino Di Matteo, un boss mafioso che era diventato cornuto perché aveva deciso di collaborare con la giustizia. Il ragazzo ormai quindicenne, ridotto a uno scheletro per la prigionia, venne strangolato su ordine di Giovanni Brusca e il suo corpo sciolto in un barile di acido.

Con l’omicidio del piccolo Di Matteo, Cosa Nostra ha mostrato la sua massima mostruosità e crudeltà. La mafia non ha “onore”, anche se è una parola di cui molto spesso si appropria, la mafia è vigliacca e in conseguenza dell’atrocità bestiale che ha compiuto ha provato a nascondersi come i fantasmi del film.

Fabio Grassadonia e Antonio Piazza mettono insieme un’opera quasi catartica che riesce a commuovere lo spettatore, colpendolo nel profondo della sua anima e della sua coscienza, molto più di quanto avrebbe potuto fare una semplice cronaca dei fatti.

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Non c’è nessuna volontà da parte dei registi di trasmettere messaggi morali o modelli di legalità a cui ispirarsi; ciò che si vuole presentare è l’emozione pura in tutte le sue sfumature che vanno dal dolore tragico, all’angoscia e al sentimento amoroso.

“Il film non si limita a raccontare una storia” – ha commentato Figazzolo – “non porta a un’adesione scontata o a una divisione precisa tra buoni e cattivi. La volontà è quella di dire, a te spettatore, di guardare le cose con occhio limpido, come fanno i bambini con le fiabe, e poi di decidere.”.

Oggi, nel bunker dov’era tenuto prigioniero Giuseppe Di Matteo, c’è un giardino; l’acqua che scendeva picchiettando il terreno, ha fatto crescere dei fiori colorati: gli unici in grado di tenere viva la sua memoria.

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SICILIAN GHOST STORY  ERA GIA’ STATO RECENSITO, PER “BIRDMEN”, DA LUCA CAROTENUTO. CLICCA QUI PER LEGGERE LA RECENSIONE.

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