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Si può ancora salvare il Teatro

L’arte è “di tutti” ma non “per tutti”, chiunque può fare arte, basta volerlo; chiunque può apprenderla e farla sua. Talvolta però la fatica di esprimersi e lasciarsi guardare dentro diventa maggiore e si rinuncia. Il teatro, da alcuni ritenuta la migliore forma di espressione artistica, è però spesso sottovalutato. Come dice Albert Camus, il teatro è un luogo di verità” ed “è esattamente il più alto dei generi letterari e in ogni caso il più universale.

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Un microcosmo quasi perfetto, quello dell’ambiente teatrale, ma che negli ultimi anni, in Italia, ha dovuto fare i conti con una forte crisi economica evidenziata in maniera chiarissima dai numeri forniti proprio dall’associazione che raggruppa le principali imprese teatrali del nostro Paese (Isp), da cui si evince che nell’ultimo decennio ha dovuto chiudere i battenti circa la metà delle compagnie presenti sul territorio nazionale, che in origine erano un centinaio: numeri pesantissimi, figli anche di un’emorragia di pubblico senza precedenti. Ma anche chi è riuscito a sopravvivere racconta di grandi problemi economici, legati ad esempio ai pagamenti fatti spesso in ritardo agli attori. L’aiuto dello Stato, con le sovvenzioni che venivano elargite regolarmente ai teatri sino alla fine degli anni Novanta, si è ridotto per colpa della crisi, e l’intero mondo dello spettacolo teatrale è andato dolorosamente in corto circuito. Le realtà private sono al collasso, quelle legate ai teatri stabili sopravvivono, ma a fatica.

Le difficoltà economiche dovute agli elevati costi di gestione e amplificate da un’affluenza in calo nelle sale hanno innescato una crisi apparentemente senza ritorno. Le rappresentazioni sono numerose, ma senza un aiuto importante statale l’incasso del botteghino non basta più. Ecco perché si cercano oggi nuove strade da battere, nuovi tipi di spettacolo da proporre su quei palcoscenici votati per decenni all’opera, con l’unico scopo di attrarre quella (grande) parte di potenziale pubblico poco avvezza a frequentare il teatro. L’esempio recente del teatro Carlo Felice a Genova, che ha aperto la nuova stagione con un musical come West Side Story facendo registrare il tutto esaurito, dimostra che la strada è quella giusta. Una sfida tutt’altro che banale, ma vincente, per la sopravvivenza di questa forma d’arte.

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Teatro che si allarga da espressione culturale di nicchia a luogo emozionale per le masse; teatro come catarsi e purificazione (lo spiegava già Aristotele nella Poetica). Occorre però la capacità e la forza di svecchiarsi uscendo da schemi antichi e, per alcuni tratti, superati. Un buon prodotto è quindi importante, ma è innegabile come (anche) una location giusta e un’offerta teatrale adeguata possano aiutare il settore a uscire dalla crisi. La gente vuole uno spettacolo diverso, o forse uno spettacolo in un ambiente diverso. Ecco perché la possibilità di proporre spettacoli all’aperto in luoghi magici, come tanti ne possiede la nostra penisola, rappresenta un ulteriore stimolo per attrarre le grandi folle. Un esempio su tutti sono i dati forniti dall’Istituto Nazionale Dramma Antico riguardo al Festival del Teatro Greco di Siracusa dell’estate scorsa,e parlano chiaro: la rassegna ha raggiunto la cifra record di oltre 140 mila spettatori globali, 21 mila in più del 2016, 38 mila dei quali erano studenti, con ricavi dei botteghini saliti in doppia cifra (+18%).

Anche io sono stata spettatrice di una delle più apprezzate rappresentazioni teatrali dell’estate, la tragedia “I sette contro Tebe” di Eschilo, con la regia di Marco Baliani. Uno spettacolo grandioso, in un luogo suggestivo e ideale per conquistare nuovi appassionati. Uno spettacolo “di azioni continue e movimenti – come racconta Balianiè la paura la protagonista, una paura fomentata dai suoni, dal clamore e dagli echi dell’esercito nemico che circonda la città”. Non solo un mix tra opera lirica e teatro, ma qualcosa di più. Forse è questa la strada da percorrere per riscoprire un teatro catalizzatore delle folle.

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