Attualità

Sempre meglio che lavorare. Il mestiere del giornalista

di Simone Lo Giudice

 

Un foglio di carta, una penna in mano e di fronte a sé il mondo: l’idea di diventare giornalista nasce spesso dalla magica miscela di questi tre elementi. Parlo di “idea di diventare qualcosa” perchè molto spesso ci troviamo di fronte ad una volontà che esiste solo in potenza e sarà solo la vita a dire se veramente riuscirà a diventare un atto. Michele Brambilla racconta la sua esperienza partendo da quella notte in cui la sua vita iniziò a capire che atto sarebbe potuto diventare. Un flash e, in un attimo, Michele ritorna il bambino dell’estate 1969, in vacanza a Milano Marittima, all’interno di una compagnia di coetanei, nella quale i figli dei giornalisti erano una cospicua rappresentanza. Michele ricorda la notte dell’allunaggio trascorsa in una stanza d’albergo, davanti alla tv, intento a seguire la telecronaca di Tito Stagno da Cape Kennedy. Il bambino Michele è seduto accanto all’amico Alessandro Goldoni, figlio di Luca Goldoni, inviato del “Carlino” a Kape Kennedy: ecco il momento in cui scatta nell’inconscio la molla di quella potenza che solo un giorno potrà tramutarsi in atto. Michele ricorda Luca Goldoni, l’uomo che gli trasmise il virus del giornalismo e che gli diede un consiglio da scolpire nella mente: “Devi incaponirtici su. Prova e riprova senza arrenderti mai, vedrai che con la tenacia ce la farai”. Michele Brambilla inizia a voler essere giornalista giorno per giorno ed alla fine ci riesce. In quest’ottica, “Sempre meglio che lavorare. Il mestiere del giornalista” diventa un vero manuale di formazione dell’aspirante giornalista, il quale viene istruito in merito ai pro ed ai contro che caratterizzano una professione che vanta un ruolo fondamentale nel libero svolgimento della vita politica, economica e culturale di un Paese. Similmente ad una famiglia patriarcale che vede al vertice la figura del direttore-patriarca, il cuore pulsante della carta stampata batte stabilmente nella redazione e dinamicamente nel petto dell’inviato. Michele Brambilla si siede davanti alla sua tela e compie un ritratto impressionistico del mondo nel quale è entrato a far parte da più di un quarto di secolo. Piero Ostellino, Ugo Stille, Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli (direttori di Brambilla al “Corriere”) accanto a Maurizio Belpietro e Mario Giordano (direttori di Brambilla al “Giornale”), in mezzo Vittorio Feltri: Michele ripercorre la sua esperienza giornalistica passando in rassegna i suoi direttori, elogiando di ciascuno pregi e difetti, indipendentemente da possibili schieramenti politici. E’ proprio su questa base che si fonda l’analisi di Michele: parlare della carta stampata evitando di schierarsi a priori, senza discutere criticamente la storia degli uomini ed il suo fedele dispiegarsi. In quest’ottica, la morte di Enzo Biagi implica la volontà di ricordare un uomo morto da solo, in un giorno d’addio tragicamente sporcato da futili polemiche politiche. “Sempre meglio che lavorare. Il mestiere del giornalista”: un titolo impresso grazie all’abile utilizzo del chiaroscuro, che mette in risalto luci (“Il mestiere del giornalista”) ed ombre (“Sempre meglio che lavorare”) su una professione che resta pur sempre meravigliosa nei suoi pregi/difetti.

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