Cultura

Rosso Manet: la forza del colore

Il 23 gennaio 1832 nasce a Parigi Édouard Manet, borghese benestante, si forma come pittore all’Accademia di Belle Arti, studia i classici come Giorgione, Tiziano, Velazquez, Goya, eppure rompe con la tradizione. Per questo fu incompreso dalla critica ufficiale e amato dal gruppo dei giovani impressionisti, pur non facendone parte: non dipinge, infatti, en plein air, ma nel proprio atelier, ispirandosi alle opere dei maestri del passato, nei musei. Tuttavia il suo linguaggio è moderno perché realistico; non idealizza le figure che dipinge, ma prende ispirazione dalla vita quotidiana, dai volti che incontra per strada. È proprio questa sincerità che scandalizza i borghesi ben pensanti, attratti dai suoi nudi che suscitano, però, il loro sdegno, come nel caso dell’Olympia (1863, Parigi, Musée d’Orsay), per la quale ha posato Victorine Meurent, un’operaia diciassettenne, diventata modèle de profession e musa del pittore in quegli anni; protagonista del romanzo Rosso Parigi di Maureen Gibbon (2015), ci accompagna alla scoperta di un Manet inedito. Eppure Édouard Manet è più legato alla tradizione di quanto potessero pensare i suoi contemporanei, infatti usa il colore come i grandi pittori del passato, stendendolo direttamente, senza disegno preparatorio;

È proprio il colore, steso a macchie, il vero protagonista della tela, secondo l’artista. Tipico di Manet è l’uso del colore puro, deciso, spesso contrastante: famosi sono i suoi rossi, ricercati in tutta la loro gamma cromatica; tutti ricordiamo quello dei pantaloni del pifferaio (Le Fifre, 1866, Parigi, Musée d’Orsay) che contrasta con il nero e il bianco del resto dell’abbigliamento e dello sfondo neutro, diventato l’emblema della mostra del 2017 a Palazzo Reale, Milano. Indimenticabili le sue variazioni sul nero, specialmente nei ritratti di Berthe Morisot, sua musa prediletta; ricchi di fascino ed eleganza i bianchi protagonisti de La lettura (1865-1873, Parigi, Musée d’Orsay) sia nell’abito della moglie Suzanne Leenhoff sia negli arredi.

Manet non è però solo l’autore dei grandi capolavori che tutti ricordiamo; lo ritroviamo nelle nature morte, a volte inserite nei suoi dipinti più famosi, ma realizzate anche in rappresentazioni esclusive, specialmente quelle degli anni ottanta, quando, malato, non riusciva più a dedicarsi alle grandi opere. Le sue Peonie, dipinte da pennellate morbide e corpose, sembrano emanare profumo e morbidezza dalla tela, come anche L’asparago (1880, Parigi, Musée d’Orsay), un piccolo dipinto di una straordinaria forza espressiva. La Parigi conformista dell’epoca di Manet non riusciva ad apprezzarlo come facciamo noi oggi, l’artista ne era consapevole e tuttavia non ha mai rinunciato a cercare l’apprezzamento nei suoi contemporanei, come dimostra la sua simbolica affermazione: «Non mi dispiacerebbe di poter leggere finalmente, mentre sono ancora vivo, il meraviglioso articolo che mi dedicherete non appena sarò morto». 

Le opere in ordine di apparizione:
Il pifferaio
Ritratto di Berthe Morisot
L’asparago

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