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Rosaria Capacchione, una penna contro la Camorra

di Alice Gioia

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Rosaria Capacchione, una delle più grandi giornaliste di Camorra (a cui anche Roberto Saviano deve molto), è alquanto seccata. Perché sembra che a “Il Mattino” la vogliano togliere dalla strada, dalle sue inchieste, per metterla al desk. Lo dice fuori dai denti, sul palco del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. E lo ripete ai ragazzi che, alla fine della conferenza, la circondano curiosi.

“Fare il giornalista è una scelta, ed è una scelta anche farlo in una certa maniera. Una scelta a cui si può anche rinunciare, in qualsiasi momento, se non si ha la forza di continuare. Io sono una persona libera e faccio quello che voglio, non sono una vittima.”

Ma non si è mai sentita abbandonata dallo Stato?
A me non interessa la risposta dello Stato, non l’ho mai cercata. Per me contano i lettori: sono contenta di avere persone che, in questi trent’anni di attività, mi hanno considerato come una alla quale rivolgersi. Oddio, non che potessi garantire chissà che, ma qualcosa l’ho fatto.

Insomma, il qual è il ruolo del giornalista, quando si parla di mafia?Condivide la rassegnazione generale verso certi atteggiamenti diffusi nella società?
Ti faccio un esempio: in questo ultimo periodo, sembra che noi  abbiamo scelto che non possiamo vivere senza il Ponte di Messina. Ma secondo me invece ne possiamo tranquillamente fare a meno. Ora, la funzione del giornalista non è quella di educare, ma di informare. Nel caso del ponte,  noi dobbiamo raccontare che si progetta di fare un’opera pubblica che costerà una certa cifra, che darà un certo numero di posti di lavoro e ne farà perdere altri, che se ne occuperanno le persone 1,2 e 3. E noi sappiamo chi sono 1,2 e 3, e lo diciamo.
E poi che dobbiamo fare di più?Io, come giornalista, devo raccontare tutto; poi sta alle persone decidere, senza rassegnazione. Se, per esempio, in Italia il popolo decidesse di votare per il partito di Cosa Nostra, io ne prenderei atto e me ne andrei in un altro Paese.
Io con la mafia non ci voglio avere niente a che fare. E se altre 50 mila persone non ci vogliono avere a che fare, allora vedete che certe cose non si fanno. Neanche il ponte di Messina.

La mafia non sente la crisi.
Non solo: se ne approfitta, perché si impone come modello vincente, dal momento che continua a garantire il lavoro.

E i ragazzi, che sono importanti per la sopravvivenza della Camorra?
È sempre stato così. Se tu sopravvivi oltre i 25 anni, se non ti hanno ucciso, la smetti di fare il killer e ti butti nell’impresa. Uno dei più grandi latitanti dei Casalesi, che ho conosciuto (giornalisticamente, intendo) nel ’90 come killer, adesso fa l’imprenditore, non è più lui che uccide.

Ma la crisi dei rifiuti, a Napoli, è finita?
Non è mai cominciata!La spazzatura per le strade di Napoli, almeno in centro, non c’era; e in periferia c’è sempre stata e continuerà a starci. Il problema dei rifiuti è una crisi strutturale, non un’emergenza, che non si risolve con la bacchetta magica. Era una cosa prevedibile. Si tratta di un accumulo di ritardi: non c’erano le discariche, e si è cominciato a mandare in giro i rifiuti, da Napoli a Caserta… Quello che è successo nell’ultimo periodo è servito ad arrestare il Setola di turno, a fare rumore. Il problema non si argina così: adesso bisogna bonificare tutte le discariche, smaltire le ecoballe…

Rosaria chiacchiera a ruota libera, senza risparmiare niente e nessuno. E poi ci dà la sua versione dei fatti: “non è con l’esercito che si ferma la mafia, mica sono terroristi. Un modo per combattere il fenomeno mafioso è quello di boicottarne le produzioni, così come si boicottano i prodotti delle multinazionali. Tenete conto che ormai stiamo parlando di persone istruite: quando ti trovi il laureato di teologia che fa il fiancheggiatore del killer e che ha ucciso 18 persone nel giro di tre mesi, ti rendi conto che c’è qualcosa che non funziona.

E a un ragazzo di Napoli che le chiede se sia meglio andarsene, finché si è in tempo, lei risponde: “ma scusa, io me ne sto qua. Potevo scegliere di andarmene, e non l’ho fatto. Ora, può darsi che mi innamori pazzamente di uno svedese e scappi con lui; ma non sarebbe certo per abbandonare il mio lavoro.”

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