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Rogue One: il ritorno di Star Wars

Se vi aspettate di leggere una recensione del primo spin-off della saga di Star Wars, sono costretto a deludervi, perché Rogue One non è uno spin-off, mi sento di dirlo a tutta la galassia. Ci si aspettava una piccola storia, un film che desse ai fan qualcosa di cui nutrirsi per arrivare finalmente a Episodio VIII, in uscita nel 2017. Ci si aspettava una storia in linea coi trailers: poco emozionante e decisamente non in linea con Star Wars. Ci si sbagliava.

Rogue One è una grande storia, che si apre e si chiude, certo, ma pur sempre una grande storia. E Rogue One è Star Wars a tutti gli effetti. Si percepisce quel senso corale che solo la prima trilogia ci ha trasmesso, perché la ribellione è un organismo complesso, concreto, non solo militare, ma politico, che lotta su più fronti e che si confronta con le sue varie “correnti” interne. Non è tutto rose e fiori, perché questa è guerra vera, sporca, a tratti vigliacca. Anche i buoni sono costretti a compiere azioni terribili per raggiungere i propri scopi e non tutti i ribelli sono pronti a rischiare la propria vita per la causa. In questo senso la Disney continua quell’opera di ampio respiro che poco a poco le sta permettendo di creare un background su cui poggiarsi per raccontare le grandi storie della galassia lontana lontana, sempre più legate fra loro, in uno spazio fatto di fumetti, cartoni animati, film antologici e nuova trilogia. Nella serie animata Star Wars Rebels vediamo una ribellione ancora molto ristretta, in cerca di alleati, di una base, di astronavi, di munizioni, di speranza. In Rogue One siamo più avanti, c’è una flotta potente e una base stabile. Tutto rientra in un grande piano, ogni storia è importante quanto quelle che la precedono. E in Rogue One si sente fortissima la disposizione al sacrificio che porta i personaggi a correre un’immensa staffetta in cui ci si passa di mano in mano il futuro della Galassia.

Sappiamo che qualcuno rubò i piani della Morte Nera, lo sappiamo dal 1977, ma non sappiamo chi fu a rubarli, e come. Ora lo sappiamo, ed è incredibile il lavoro eccellente che è stato fatto su Rogue One, su una storia di cui sostanzialmente conosciamo già la fine. Tutto ciò che credevamo di sapere non conta più, contano gli innumerevoli momenti di altissimo cinema che questo film ci ha regalato, conta l’ultima mezz’ora della pellicola, contano i brividi, l’esaltazione, la soddisfazione con cui si esce dalla sala. Rogue One riesce dove Force Awakens, il settimo episodio della saga, non è riuscito completamente. Se in Episodio VII abbiamo dato uno sguardo a un nuovo universo, fatto di personaggi molto interessanti, ma non del tutto convincente come singolo episodio, in Rogue One il risultato è appagante. Se Episodio VII è un fuoco che si accende, Rogue One è un incendio completo, spietato e bello da vedere. Personalmente mi auguro che l’ottavo episodio possa essere più simile a quest’ultimo, che diventi sporco, che ci faccia sentire l’odore acre delle esplosioni, il tanfo dei quartieri malfamati, che sia più coraggioso e temerario.

Il regista, Gareth Edwards, coglie l’occasione concessagli dalla Disney e disegna, assieme agli sceneggiatori, un film fatto di tanti momenti, tanti personaggi, tanti pianeti. Le prime fasi del film sono una vera guida galattica per autostoppisti: vediamo nuovi pianeti, uno dietro l’altro e non sappiamo a quale fermata scendere, perché sono tutti bellissimi e ben caratterizzati. Impossibile non innamorarsi di Lah’mu, pianeta dalla terra nera, dall’erba verde e dal cielo opalescente o di Jedha, un pianeta che speriamo di rivedere in qualche altro film di Star Wars, così antico, sacro, così rosso e così vivo. È su Jedha che sentiamo fortissima la presenza dell’impero, vera forza di occupazione di una terra che è intrisa di Forza, e di cui l’impero sta sfruttando forze e risorse. È qui che abbiamo le prime avvisaglie di resistenza, nonostante sia abbastanza ridicola la resa della stessa, dal momento che i ribelli sono ritratti come guerriglieri Peshmerga, tra tuniche, turbanti e mezzi rudimentali. Se vado a vedere Star Wars e confondo Jedha City con Aleppo, c’è qualcosa che non va. Lo stesso vale per il caraibico pianeta Scarif, sulle cui spiagge ha luogo una sorta di “Sbarco in Vietnam”, un po’ Normandia, un po’ giungla selvaggia, in cui si muovono ribelli vestiti di stracci verdastri che fanno molto Apocalypse Now. Ma, al di là di questi particolari stridenti, la guerra è resa molto bene, e la battaglia finale su questo pianeta così bello è qualcosa di memorabile: si combatte sulla terra e nel cielo, si combatte negli edifici, si lotta contro il tempo, si regolano conti e si perdono amici. Nei cieli di Scarif assistiamo a una delle battaglie stellari più belle di sempre, in cui si confrontano due flotte di forza quasi pari e in cui contano il coraggio, le idee, la disperazione. Visivamente il film lascia estasiati in più occasioni, la fotografia ci fa entrare subito nell’atmosfera di ogni singolo pianeta e, soprattutto alla fine, contribuisce a creare scene che diverranno probabilmente iconiche, sulla falsa riga del tramonto binario su Tatooine in Una Nuova Speranza. Così come il grande protagonista del film è la ribellione, il gruppo, allo stesso modo traspare nella produzione di Rogue One una grande organizzazione, un’unità di intenti che supera la maggior parte dei film degli ultimi anni. Non solo per i fan, ma per tutti coloro che amano il cinema.

Questo però non significa che Rogue One sia un film esente da difetti. Oltre alle già elencate intrusioni della storia militare terrestre, non convincono del tutto i dialoghi, soprattutto al centro del film, in cui i momenti morti si fanno sentire (salvo poi essere dimenticati del tutto grazie ad un finale che resterà nella storia della saga e che da solo merita l’acquisto del biglietto). Non convince molto il personaggio di Saw Gerrera (interpretato da Forest Whitaker), molto diverso da come lo ricordava chi l’aveva già visto nella serie animata The Clone Wars (ebbene sì, c’era un precedente ed era totalmente diverso). Non convince del tutto il droide K-2SO, quello che doveva dare una certa consistenza comica a un film che risulta molto serio. Se si vuole fare un film serio, lo si fa, senza aggiungere battute che non fanno ridere, malgrado in un paio di occasioni il nostro droide capocomico riesca a strapparci un sorriso, per niente aiutato dal pessimo doppiaggio italiano (in questo senso sarà interessantissimo vedere la versione in lingua originale, dal momento che già l’anno scorso, con Force Awakens, abbiamo assistito a una spiacevole storpiatura di certi personaggi come Kylo Ren, Poe Dameron, Snoke e il generale Hux che nella versione originale hanno una profondità e un taglio completamente diversi, come facessero parte di due film differenti). Non convince la colonna sonora, troppo debole e troppo poco “Star Wars”. Lucas e John Williams hanno fatto della colonna sonora un vero e proprio personaggio, fortissimo e indispensabile. In ogni film di Star Wars lo standard deve rimanere non alto, altissimo e purtroppo Disney e il suo compositore, Michael Giacchino, non sono riusciti nell’intento. Più per colpa della Disney, tuttavia, perché, indagando, si scopre che Giacchino, lo storico e talentuosissimo collaboratore e amico di J.J. Abrams, regista di Episodio VII e padre morale dell’intera nuova trilogia, ha avuto a disposizione solamente quattro settimane per scriverla. Quattro settimane, per Star Wars, per un film di due ore e passa? È uno scherzo? Errore madornale della Disney, dunque. E nonostante tutto questo, nonostante non sia ancora chiaro come possa essere sfuggito ai tecnici il difetto strutturale che porterà alla distruzione della Morte Nera, progettata dal padre della protagonista di Rogue One, Jin Erso, nonostante non ci siano i Jedi, nonostante Darth Vader compaia in poche occasioni, il film resta in piedi e batte Force Awankens sul piano delle emozioni.

Pure i personaggi, poco approfonditi e un po’ improbabili (Chirrut Îmwe, per esempio, è un guerriero cieco armato di bastone e capace di stendere un’intera pattuglia di Stormtroopers. Beato lui.) riescono a funzionare e fare la loro parte. Diego Luna nei panni di Cassian Andor e Felicity Jones nei panni di Jyn Erso sono inaspettatamente ottimi e mai fuori luogo. La Jones sembra perfetta per l’adattamento di un romanzo scritto da Jane Austen, e invece tira fuori un’interpretazione mai forzata e a tratti emozionante.

La forza opprimente dell’impero, le navi spigolose, l’accentuato chiaroscuro sulla superficie della Morte Nera: ne vogliamo ancora. Sequenze finali che danno i brividi e lasciano i fan di vecchia data inebetiti sulle poltrone a pensare a quanto di bello hanno visto, a quanto si possa sognare ancora nel futuro e a quando prenotare il biglietto per la seconda visione: ne vogliamo ancora. Non deludeteci, mantenete questa strada, fate un ottavo episodio che prenda l’immediatezza di Rogue One e la leghi all’epicità di una trama come quella in divenire di Force Awakens. Prendete i grandi personaggi di Rey, Luke, Kylo e Finn e fategli vivere una storia che sia in tutto e per tutto alla loro altezza. Dateci una gioia che duri nel tempo e si moltiplichi da sé.

Con Rogue One ne abbiamo vista un po’. Datecene ancora.

Che la Forza sia con voi.

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