Ringo Starr: il “Beatle triste” che ha cambiato la musica
“In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr”: così cantano i Pinguini Tattici Nucleari, band indie bergamasca, nel pezzo classificatosi terzo tra i big del Festival di Sanremo 2020 e intitolato proprio Ringo Starr, in omaggio al batterista dei Beatles. Un inno alla normalità e alla semplicità di una vita vissuta modestamente, mantenendo un “basso profilo” accanto a chi è invece naturalmente portato a dominare le scene e che utilizza proprio la figura del musicista inglese come metafora.
Sistemato nel suo angolino nelle retrovie delle centinaia di migliaia di palchi calcati dal complesso di Liverpool, con la sua bella Ludwig Black Oyster che suonava con estrema versatilità e un trasporto sempre composto e mai smodato, a Ringo non interessava contendersi la scena con quei colossi di Lennon e McCartney. O con Harrison che, malgrado comunque meno illuminato dalle luci della ribalta, anche solo per posizione fisica risultava lo stesso più visibile di lui. Eppure, anche se pensando al leggendario gruppo inglese non si può evitare l’associazione diretta con John e Paul che di fatto hanno composto e cantato la maggior parte dei brani della discografia dei Beatles, non bisogna dimenticare l’apporto fondamentale di Ringo Starr non soltanto all’opera della band (che lo coinvolse nel ‘62 sostituendo il batterista delle origini, Pete Best), ma in generale alla musica pop e rock come la conosciamo oggi.
Lo stile e l’intuito attraverso i quali giocava e sperimentava con la batteria gli hanno permesso di produrre delle vere perle musicali e di distinguersi in modo memorabile, ispirando generazioni di musicisti. De gustibus, come sempre, ma anche Phil Collins, cantautore e polistrumentista ex membro dei Genesis, ha più volte affermato di ritenerlo il proprio modello.

Breve guida su come trasformare le debolezze in punti di forza
Di origini umili, Ringo (al secolo, Sir Richard Starkey) non fu, notoriamente, un giovanotto in salute o dotato di grande talento a scuola. Visse gran parte della sua infanzia e adolescenza afflitto da malattie che lo obbligarono a operarsi spesso e a un certo punto, dopo, tra le altre cose, un coma di due mesi, anche a rimanere per due anni in sanatorio. Fu proprio durante questo lungo periodo di convalescenza che scoprì la passione e il dono per la musica, grazie alla batteria regalatagli dal compagno della madre per passare il tempo in ospedale.
Una delle sue peculiarità è sempre stato il modo di suonare lo strumento: “il Beatle triste”, come è stato spesso soprannominato per via del carattere introverso, essendo mancino avrebbe potuto ribaltare la composizione della batteria per suonare con maggiore comodità e invece ha preferito suonare come destro. Anche se apparentemente masochistica, questa scelta in realtà è stata sfruttata da Ringo in modo molto vantaggioso, perché nei passaggi più ostici alla batteria, i fill, o “passaggi di riempimento”, suonando da destro ma partendo con la mano sinistra, pare non abbia quasi mai commesso errori in sala di registrazione.
Tuttavia, non si può non ricordare il flop della prima volta in studio quando la sua esibizione fu considerata da George Martin, produttore dei Beatles, così scadente che per i primi tempi Ringo Starr fu messo al tamburello e alle maracas. Da quel momento in poi, però, sembra non abbia più sbagliato un colpo.
La sua è una storia di piccole, ma geniali intuizioni. Ad esempio, l’aggiunta di un secondo tom (n.d.r. tamburo cilindrico che fino al quel momento era sempre stato suonato da solo) lanciando una tendenza che divenne di moda, tanto che nel corso degli anni la conformazione dello strumento andò a comprendere il doppio tamburo. Ma ancora, l’invenzione della sordinatura, con coperte infilate nella grancassa e fazzoletti da tè nei tamburi, che ora viene usata normalmente ma negli anni ’60 non si concepiva ancora; un’accordatura diversa da quella che si utilizzava all’epoca; un’impugnatura differente delle bacchette che, scardinando gli standard del jazz (a quei tempi il modello ritmico per eccellenza) portò alla nascita di un nuovo stile adottato poi dal rock.
La sua perfezione nel tenere il tempo lo rendeva un punto saldo nella band, che con la batteria manteneva sempre “in carreggiata”. Nella registrazione in studio del brano Because (1969), ad esempio, pur non essendo le percussioni presenti nell’arrangiamento del brano, Ringo registrò una base di charleston (n.d.r. la coppia di piatti che si suona utilizzando un pedale) da far ascoltare in cuffia agli altri per far sì che mantenessero sempre il giusto tempo.
Storie di calamari, polpi e giardini in fondo al mare
Come già accennato, la maggior parte dei brani presenti nella sconfinata discografia dei Beatles è stata scritta da John e Paul, ma anche Ringo compose due canzoni senz’altro degne di nota: Don’t Pass Me By (1968) e Octopus’s Garden (1969). Entrambe arrangiate su un ritmo country particolarmente apprezzato da Starr, hanno la caratteristica di apparire così leggere e spensierate da essere state spesso, soprattutto la seconda, considerate canzoni per bambini. Tuttavia, seppur semplici, i testi possono essere ritenuti molto più profondi di così. Sono canzoni oggettivamente belle: ben arrangiate, piacevoli e ispirate in modo naturale, tanto da apparire uno slancio spontaneo e inaspettato.
Don’t Pass Me By fu composta mentre il musicista stava suonando qualche nota al pianoforte; nata in poco tempo è stata la prima canzone in assoluto scritta da Ringo. In un mix di pianoforte, violino e basso, il motivetto allegro si accompagna invece a un testo che descrive lo stato di angoscia nell’attesa dell’amata che non arriva, il timore che lei voglia lasciarlo e non pensi più a lui. Finché nel finale non si svela il mistero: lei ha avuto un incidente d’auto e ha perso i capelli, così ha chiamato per dire che avrebbe tardato giusto un’oretta o due (I’m sorry that I doubted you / I was so unfair / You were in a car crash / And you lost your hair / You said that you would be late / About an hour or two).
Octopus’s Garden invece ha alle spalle un simpatico aneddoto: durante una vacanza in Sardegna, mentre si trovava a bordo di una barca, per pranzo Starr ordinò del buon vecchio inglese fish and chips, ma gli fu servito del calamaro che lui provò per la prima volta. Gli fu così raccontata la storia dei polpi che in fondo al mare raccolgono oggetti brillanti e pietre per costruire giardini.
Oltre a una piacevolissima morbidezza e pacificità, questo brano presenta delle piccole genialità a livello musicale: dal suono gorgogliato di voci e chitarre ottenuto con una particolare compressione per ricordare il rumore dell’acqua del mare, all’effetto delle bolle ottenuto soffiando con una cannuccia in un bicchiere di latte.

Tra i Fab Four, senza dubbio, Ringo Starr non è quello che è passato alla storia per capolavori musicali inimitabili, storie di vita avventurose o una morte tragica e leggendaria (per sua fortuna). Rimane nell’immaginario collettivo come il batterista timido ed educato; quello che detestava gli assoli, ma adorava i groove. E soprattutto accompagnare i suoi tre amici contribuendo a realizzare quell’amalgama travolgente di suoni che ha fatto della musica dei Beatles un mito e, grazie anche al suo spirito innovatore, una pietra miliare per i generi e gli artisti che li hanno succeduti.