Musica

Ricordando Édith Piaf, l’ultima maledetta

No, niente di niente! / No, non rimpiango niente! / Né il bene che mi è stato fatto / né il male, tutto mi va bene uguale! //
È stato tutto pagato, scartato, dimenticato / Me ne fotto del passato!

Così esordisce una delle più celebri canzoni di Édith Piaf, di cui il 10 ottobre si è commemorato il 55° anniversario della morte. Nota per La vie en rose, nell’immaginario comune la cantante francese appare forse come qualcosa di lontano, ammuffito e stantio, di interesse solo per le vecchie generazioni e per i classici amanti del vintage.

Invece no, Édith è una moderna rivelazione, una figura affascinante, della stessa aura intrigante – come si potrà constatare meglio poi dall’analisi delle sue canzoni – dei Simbolisti francesi, conosciuti comunemente come Poeti Maledetti, nata soltanto una quindicina d’anni dopo la morte di Verlaine e Mallarmé, forse più maledetta la sua vita che lei stessa.

Nata a Parigi, di origini normanne e livornesi, ebbe un’infanzia dura e segnata presto da malattie gravi. Costretta alla strada e all’accattonaggio, strappata da un parente all’altro, crebbe nella casa di tolleranza della nonna paterna. Giovanissima partorì la figlia Marcelle che morì a soli due anni. Successivamente visse brevi amori spesso non ricambiati. Il più intenso e struggente fu extraconiugale, con Marcel Cerdan, dal ‘48 al ‘49. Questi morì in un incidente aereo, dopo che lei lo aveva pregato: “Prendi l’aereo, se prenderai la nave avrò il tempo di morire, mi manchi troppo“. Quella sera stessa aprì lo spettacolo dicendo: “Canto per Marcel, solo per lui“, e durante l’Hymne à l’amour crollò sul palco priva di sensi.

La profonda depressione, la forte artrite e un incidente quasi fatale la spinsero a far uso di dosi massicce di farmaci e ad incrementare l’assunzione di alcol. Furono frequenti gli episodi di coma etilico, nonché i tentativi di suicidio. Tra un matrimonio e l’altro iniziò nel ‘53 un trattamento di disintossicazione, ma i farmaci e gli alcolici ne causeranno comunque il decesso nel ‘63, all’età di 47 anni.


Le sue canzoni sono pervase da un’atmosfera di inquietudine e da una forte volontà di ribellione, anticipando gli intellettuali della rive gauche e riprendendo l’atteggiamento provocatorio e antisociale dell’artista maledetto. Una delle sue primissime, L’Accordéoniste, tratta la vicenda di una prostituta. Ispiratasi agli ambienti della propria infanzia, canta dell’innamoramento per un fisarmonicista che parte per la guerra; aspettandolo sogna il loro felice futuro insieme. Il sogno è breve: l’uomo non tornerà più. Lei disperata cerca l’amore di altri musicisti, ma mentre danza per dimenticarlo grida in modo nostalgico e straziante: Arretez la musique!

Édith era apprezzata per la capacità di passare da toni aggressivi a dolci, nascondendo una partecipazione tesa e tormentata. Un esempio è Les Amants d’un jour, in cui intervalla strofe delicate a ritornelli crudi, per raccontare in prima persona la vicenda di due amanti trovati morti nella camera di un albergo ad ore, dove amore e morte giocano con felicità e disperazione. Gli evocativi testi musicali ricercano le emozioni e l’intima essenza delle cose; mentre l’infrangersi dei sogni e delle speranze, soprattutto d’amore, e la voce vissuta trasmettono straziante dolore e angoscia. In La Foule si canta l’amore autobiografico: la scena appare festosa, la folla unisce gli amanti illuminati, inebriati e felici, ma all’improvviso la gioia si spezza allontanandoli. Allora dall’urlo “io grido di dolore, di furore e di rabbia/ e piango” tutto il vortice creatosi si riversa nel finale amaro “stringo i pugni, maledicendo la folla che mi ruba/ l’uomo che mi aveva dato/ e che non ho mai più ritrovato”. Così in Padam Padam rievoca gli amori dei vent’anni: “ricordali perché è il tuo turno/ non c’è nessun motivo perché tu non pianga/ con i tuoi ricordi tra le braccia”, con l’analogia tamburo-cuore di legno “padam, padam, padam/ i “Ti amo” del 14 luglio/ padam, padam, padam/ i “Per sempre” acquistati in saldo” per esprimere tutto il solfeggio del suo dolore.

Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che
la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale fra tutti
diviene il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto – ed è il Sapiente supremo!

Arthur Rimbaud

 

Federico Corradi

Federico Corradi è nato a Brescia il 6 gennaio 1999, è cresciuto a Palazzolo sull'Oglio, dove ha conseguito la maturità scientifica. Attualmente studia Lettere Classiche presso l'Università di Pavia.

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