“Sguardi puri 2.0” / Pietà
di Erica Gazzoldi
Nelle città crescenti in Corea del Sud, l’edilizia e i debiti si mangiano lentamente le vite. I macchinari da lavoro diventano strumenti di tortura per gli artigiani, il ceto più vulnerabile alla rovina. Questo avviene in Pietà, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2012. Il regista Kim Ki-Duk è giunto a questo angosciante capolavoro, dopo una vita di aspirazioni artistiche, lavoro, frustrazioni, depressione, viaggi, periodi da bohémien, una lunga crisi e la “resurrezione” a Cannes. Il Politeama di Pavia ha proposto la pellicola nel quadro di Sguardi Puri 2.0, il 23 gennaio 2013.
Kim Ki-Duk ha un talento di pittore: Curzio Maltese lo definisce “il Van Gogh coreano”. I suoi film sono dialoghi d’immagini. Esse rappresentano, perlopiù, oggetti quotidiani, ma stravolti in senso espressionistico. Gli utensili sono mostrati da vicino, con inquadrature che ne isolano l’aspetto inquietante. Negli interni domestici, sono seminati particolari perturbanti, come le interiora animali sul pavimento, lo specchio sporco e il tiro a segno centrato su una figura femminile archetipica. Così il fantasma materno è presente fin da subito nella vita di Kang-Do (Lee Jung-Jin). Un personaggio fatto d’estremi. Appare come Diavolo, o come bambino non cresciuto. Contraddizioni che esplodono quando, nella sua esistenza, arriva una donna minuta che dice d’esser sua madre (Jo Min-Su). Nella mitezza e nel silenzio, questa ripete gesti che sono tipici del Diavolo/bambino, del suo lavoro di “esattore” per conto d’un usuraio. Come lui, arriva in modo spettrale e non si lascia intimidire dalle porte sbattute sulle dita. Il rapporto comincia nel segno del sadismo, con cui Kang-Do sfoga la rabbia per essere stato abbandonato da neonato. Poi, si rovescia nel completo abbandono di lui a lei. La dismisura nella violenza fa parte della sua psiche inevoluta. Bloccato in un’infanzia innaturale, Kang-Do mutila i debitori, così come i bambini, spesso, amano straziare pupazzi e personaggi dei videogiochi. Il pretesto è incassare il premio dell’assicurazione sugli infortuni. Per il resto, non ha alcuna nozione di cosa siano il dolore o la morte. Né il denaro in nome del quale, ufficialmente, agisce. Lo sa bene la madre, invece. È la presenza diabolica che si inserisce nell’amore verso il figlio, fa da terzo in quel dittico che la “Pietà” (riferimento michelangiolesco) dovrebbe essere. La Madonna addolorata si fonde con Medea. Grazie a lei, Kang-Do acquisisce quella “cognizione del dolore” che lo fa diventare, finalmente, adulto. Anche se la sua maturazione sarà ciò che lo distruggerà.