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Recensione – Stephen King, “22/11/’63”

di Andrea Gobbato

 

Sembra non avere fine la prolificità di Stephen King che, puntualmente come ogni anno, torna a invadere le librerie di tutto il mondo con il suo nuovo romanzo, “22/11/’63”, edito come tutti i suoi precedenti lavori da Sperling & Kupfer.
A prima vista, la trama sembra non presentare niente di particolarmente innovativo: Al Templeton, malato terminale di cancro, rivela all’amico e insegnante di liceo Jake Epping di avere scoperto un passaggio temporale che conduce al 1958. Il piano di Al, prima che la malattia lo riducesse all’impotenza, era quello di impedire l’omicidio del presidente J. F. Kennedy in modo da cambiare il corso della Storia. Jake rimane così l’unico depositario di questo segreto e si ritrova, suo malgrado, coinvolto in questa missione.
Ed è proprio qui che King mostra la sua magistrale abilità di narratore, in grado di infrangere i confini dettati dal genere e di aggredire le emozioni del lettore come solo lui sa fare, scavando dentro di esse; le indagini per scoprire se Oswald sia il vero attentatore e per impedire la morte del presidente sembrano infatti rimanere sempre un po’ in secondo piano, facendo da sfondo a tutte le vicende umane che si intrecciano lungo lo scorrere del romanzo. L’intera storia è permeata da una nostalgia palpabile per gli anni Cinquanta/Sessanta, dove non esistevano tutte le comodità di oggi ma dove la gente era più fiduciosa verso il prossimo e disponibile ad aiutarsi. Lo stesso Jake alla fine si troverà combattuto se tornare nel suo presente o continuare a vivere nel passato, a prescindere che la sua missione vada a buon fine.
Come i lettori più affezionati del Re del Brivido sapranno, il tema delle dimensioni parallele e dei passaggi temporali è sempre stato molto caro allo scrittore del Maine, che più volte lo ha riproposto nei suoi libri (basti solo pensare all’intera saga della “Torre Nera”). In “22/11/’63” King esplora anche un genere narrativo particolare della fantascienza, l’ucronia, ovvero un genere basato sul presupposto che il mondo abbia seguito un percorso diverso rispetto a quello reale. L’ “e se” storico è infatti un argomento che gli scrittori hanno affrontato svariate volte. “Cosa sarebbe successo se Hitler avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale? O se Napoleone avesse vinto la battaglia di Waterloo? O se Annibale avesse conquistato Roma?” sono alcune delle ucronie preferite dagli autori di “fantastoria”. Ed è proprio su questo che gioca Al Templeton, cercando di convincere Jake ad accettare il passaggio di testimone: se Kennedy non venisse ucciso a Dallas nel novembre del 1963, Johnson non verrebbe eletto presidente e non potrebbe dare il via alla guerra del Vietnam; le tensioni razziali non sarebbero esplose e Martin Luther King non sarebbe stato assassinato. Il corso degli eventi può essere sovvertito, il passato deve essere cambiato in modo da modificare il futuro.
Insomma, King si dimostra ancora una fonte inesauribile, in grado di sfornare un romanzo che, seppur con una trama apparentemente non originalissima, vi terrà col fiato sospeso fino alla fine, perché non tutto potrebbe andare come lo avevate immaginato; come si ripete più volte Jake Epping durante le sue peripezie, «Il passato non vuole essere cambiato».
Infine, un’ultima chicca per i lettori più fedeli del Re: la prima parte del romanzo è ambientata a Derry nel 1958. Pertanto, non meravigliatevi troppo se sentirete parlare di un pagliaccio malvagio che si nasconde nelle fogne della città. Io vi ho avvertiti, Fedeli Lettori. Ora non mi resta che augurarvi una buona lettura.

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