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Recensione – Riddick

Dopo Pitch Black (2000) e The Chronicles of Riddick (2004), esce al cinema il terzo capitolo della saga che vede protagonista lo spietato (ma non troppo) e animalesco (quanto basta) assassino originario del pianeta Furya: Riddick (da cui questa nuova pellicola prende il titolo). Interpretato da Vin Diesel, Riddick è un interessante miscuglio tra animale e uomo: capace di vedere al buio, dotato di un istinto di sopravvivenza e di una forza e una velocità fuori dal comune, ricorda vagamente l’immagine di un felino impossibile da addomesticare. Dopo essere sfuggito a mille pericoli ed essere stato tradito dai Necromonger (The Chronicles of Riddick), Riddick viene abbandonato su un pianeta desertico e ostile, dove la sua unica possibilità di sopravvivenza sarà quella di ritrovare in se stesso la propria parte animale e scatenarla ancora una volta. Ben presto l’arrivo sul pianeta di un gruppo di mercenari, giunti proprio per catturarlo, potrebbe rivelarsi fondamentale per cambiare per sempre le sorti del furyano, desideroso solo di poter tornare sul proprio pianeta natale. Basterà il trascorrere di una sola notte per far capire ai mercenari di non avere alcuna possibilità di catturare Riddick e tanto meno di ucciderlo, ma sarà una minaccia aliena a costringere preda e predatori (o prede e predatore?) a collaborare, nonostante le ostilità per lasciare il pianeta e avere salva la vita.

Diretto da David Twohy, che ha lavorato come regista anche nei due film precedenti, Riddick risulta essere un po’ banale. A differenza del capitolo precedente (The Chronicles of Riddick), che si sviluppa in una trama se non articolata quanto meno avvincente, qui la trama sembra mancare del tutto: 120 minuti di scontatissima caccia dove vincitori e vinti sono già perfettamente etichettati nemmeno a metà pellicola. Nessuna svolta e nessun colpo di scena degno di essere ritenuto tale, solo tanto testosterone (anche mal distribuito) che sfocia in monologhi al limite del ridicolo e in situazioni stile video games di basso livello.

La sensazione che si ha guardando il cinema fantascientifico di quest’ultimo anno è che il genere sia stato decisamente inflazionato, a favore degli effetti speciali che sono esplosi come i fuochi d’artificio a capodanno e a discapito delle trame e delle stesse storie – che, offuscate dalla luce di questi elaborati “giochi pirotecnici”, sono state sventrate e ridotte all’osso, al minimo indispensabile. E qualche volta ci si ritrova a chiedersi che fine abbiano fatto i veri film di fantascienza, quelli che non solo lasciavano a bocca aperta per gli elaboratissimi trucchi digitali, ma che stringevano lo stomaco ed emozionavano anche fino alle lacrime, alla maniera del capolavoro di Chris Columbus L’uomo Bicentenario. Perché alla fine – passatemi il luogo comune – una bellissima donna sarà sempre e comunque una bellissima donna, ma se quando apre bocca finisce per risultare una stupida, a nessuno potrà far piacere all’infinito sentir blaterare un’oca dietro a un bel viso di porcellana.

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