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Recensione – Il supplizio di Tantalo

Il supplizio di Tantalo è, in breve, uno scontro a velocità poco sostenuta su una strada offuscata dalla nebbia che conduce a Pavia, tra vetture che portano il nome di “luoghi comuni”, “cultura nerd” ed “espedienti meta-narrativi”. E cosa succede solitamente dopo un incidente del genere, anche a se a velocità poco sostenuta? Un gran casino.

 

Di fatti è un gran casino il filo conduttore del libro, 140 pagine in cui si mischiano, in ordine puramente casuale: la sceneggiatura di una finta serie tv ambientata nella ridente Pavia (ma nemmeno tanto, visto che gran parte dei capitoli e quindi dei presunti episodi prendono vita nel nord Europa); flashback e apparizioni di figure come la Morte e Goldoni; citazioni più o meno auliche di Dante (e credo anche qualche altro grande autore della letteratura italiana che, ahimé, non ho potuto cogliere causa formazione scientifica); amici e conoscenti del protagonista che si travestono per la durata di un paragrafo da maestri di vita con massime prese dalla sit-com The Big Bang Theory e… poco altro.
Dopo il caos, la calma: cerchiamo di far chiarezza su alcuni punti.
L’autore apre il libro raccontando di aver trovato un manoscritto anonimo durante una ristrutturazione dell’Almo Collegio Borromeo, contenente alcuni espedienti di un ragazzo alla perenne ricerca di donne, raccolti in ottica di una trasposizione sul piccolo schermo sotto forma di serie tv (da qui dunque la veste di “sceneggiatura” dei singoli capitoli). Vi ricorda forse qualche altra opera?

Continuando: l’autore, Josuè Alberto Santos, decide dunque di raccogliere e sistemare il materiale trovato per caso e di pubblicarlo, modificando solo le parti in cui i riferimenti a cose o persone realmente esistite o accadute sembravano troppo diretti, evitando così pericolose citazioni in giudizio e/o querele.

 

Questo anonimo inetto (chiamato anche Byron, in evidente contrapposizione con le gesta eroiche del vero Lord Byron), si ritrova in una serie di eventi e situazioni in cui i luoghi comuni (su: ragazze, omosessuali, abitanti dei Paesi nord-europei) e flashback/apparizioni praticamente collimano con la narrazione: il breve periodo di vita raccontato è dedicato solo ed esclusivamente alla ricerca di donne, senza risultato, e potrebbe risultare stucchevole a chi immaginava ben altre avventure e peripezie.

In pochi dunque potrebbero apprezzare i continui riferimenti a Günther e alla sua celeberrima canzone Ding Dong Song, i flashback che sembrano incubi molto confusi, le usanze e le tradizioni dei collegiali pavesi (in particolare quelle dei collegi Borromeo e Ghislieri): danno l’impressione di essere solo trovate dell’autore per risultare estremamente simpatico o aggiornato sulle ultime tendenze in fatto di fenomeni sociali.
Nel caso in cui foste dei cultori di tutte queste cose (e qui la questione si complica: dovreste essere allo stesso tempo “nerd” adoratori di TBBT, imageboard, cantanti svedesi, difensori dell’istituzione del Collegio ed estimatori dell’apparato riproduttivo femminile visto come “buco con attorno una persona”: a mio parere non è facile) il libro potrebbe fare al caso vostro. Altrimenti, come lo stesso autore scrive all’inizio del libro, “la lettura è sconsigliata a chiunque”.

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