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Recensione / Il mio domani

di Erica Gazzoldi

Marina Spada, nel 2009, ci aveva consegnato Poesia che mi guardi, docufilm su Antonia Pozzi. È intrisa di riferimenti pozziani anche la sua pellicola del 2011, Il mio domani. Pavia non ha ignorato un film parzialmente girato nelle sue campagne. La rassegna Pellicole d’autunno l’ha proposto al Politeama, il 13 novembre 2012. Il cast annovera Claudia Gerini, insolitamente in un ruolo drammatico. Torna in scena anche Raffaele Pisu. L’animatore di Provolino, stavolta, è un anziano agricoltore: simbolo della ruvida campagna lombarda, dove la fede può convivere col rancore e avere radici nella stessa tenacia. Sua figlia Monica (Claudia Gerini) è formatrice-quadri in un’azienda milanese. Come Antonia Pozzi, sotto la maschera altoborghese, la donna nasconde la solitudine e un desiderio di maternità irrealizzato. Si consola accudendo Roberto (Enrico Bosco), figlio di sua sorella Simona (Claudia Coli). Il ragazzo è molto chiuso e facile agli scoppi d’ira; ma la zia sa comunicare con lui, condividendo il suo immaginario. Non è altrettanto facile il dialogo con Simona, nata dall’adulterio della madre. Monica ha passato anni d’infanzia fantasticando sui luoghi ove quest’ultima era fuggita. Li rievoca citando la Pozzi quasi alla lettera: “Verso sera fissavo l’orizzonte; socchiudevo un po’ gli occhi; […] e la striscia dei colli si spianava,/tremula, azzurra: a me pareva il mare/e mi piaceva più del mare vero” (Amore di lontananza).
Intanto, la sua vita si sgretola sordamente. Langue la relazione extraconiugale col datore di lavoro (Paolo Pierobon). Non decolla l’intesa con Lorenzo (Lino Guanciale). Quanto alla professione, Monica non vuol ammettere d’essere un “cavallo di Troia”, che sfonda le resistenze dei dipendenti al licenziamento. Proclama che il “vuoto” e la “crisi” sono “opportunità”, mentre stanno inghiottendo lei e l’Italia intera. Inconsapevolmente, trasforma in meccanismo di potere il proprio bisogno di donarsi. Il tutto sullo sfondo d’una Milano che si trasforma: nuovi grattacieli, nuovi graffiti (o graffi?), nuovi diseredati. La passione per la fotografia ritaglia inquadrature nelle inquadrature; esprime la nostalgia per gli istanti che fissa e studia la realtà. Ma è d’analizzar se stessa che Monica non è capace. Al contrario del proprio doppio poetico, non sa “vedersi nuda”. Gli impegni sono l’alibi del suo mancato autoesame. Una via d’uscita ci sarà solo quando Monica ripartirà sulle tracce della madre defunta, riconoscendo i propri limiti. Così, anche il suo domani sarà “una larga strada/che sale/dal cuore d’una città sconosciuta/verso gli alberi alti/d’un antico giardino” (A. Pozzi, Domani).

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