Attualità

Razzismo: lessico famigliare

È possibile parlare di razzismo nel 2018 senza scadere nei luoghi comuni? Parlare di cose basilari come diritti umani, rispetto, compassione senza rischiare di fare della retorica spicciola è invero una gimkana difficile oggigiorno. D’altro canto, sembra facile, troppo facile, scadere in comportamenti razzisti o xenofobi e ancor più (inquietantemente) facile è cercare di legittimare gli stessi come sintomi non di razzismo, ma di una placida e pure bonaria neutralità spacciata ora per buon senso, ora per difesa della civiltà (o della razza). Ad Alassio una bestia si è scagliata minacciosa contro un ambulante in spiaggia e allo stesso modo si è comportato il suo cane che ha ringhiato contro il malcapitato, diventando presto l’idolo del lido. A Rimini un gruppo di ragazzine ha “invitato” un bambino nero a lasciare il parco dove stava giocando, allegando all’invito insulti che non saprei in che altro modo definire se non razzisti. Sempre nel riminese in un centro estivo una bambina di colore è stata discriminata dalle sue coetanee che le hanno dato della “negra”. A Sassari invece una nigeriana avrebbe inventato delle accuse di razzismo contro di lei, per spiegare l’aggressione avvenuta di fronte a un bancomat. Sia che l’episodio di razzismo sia stato reale o meno, è comunque inquietante leggere quotidiani come “Il primato nazionale” che prontamente si è scagliato contro “i buonisti e gli antifascisti” di turno.

Sia che siamo buonisti o “cattivisti”, la banalità (del male) sembra permeare qualunque tipo di discorso si faccia al riguardo. È come se la difficoltà di parlare di razzismo nel 2018 derivasse da una sorta di saturazione tematica che rende impossibile trattare gli argomenti in maniera nuova e attuale. Ma il problema è proprio questo: non c’è niente da attualizzare nel pensiero razzista e fascista allo stesso modo di come non si può rinnovare il pensiero progressista antifascista. Il primo semplicemente perché è vecchio, il secondo perché non invecchia mai. Ciò non vuol dire che non ci sia altro da dire o da fare perché, lo dimostra la cronaca recente, quel sentimento latente di odio misto a indifferenza (laddove non è più vero l’inverso) è sempre pronto a sorgere dalle ceneri di una vergogna che tende a sotterrare i peggiori istinti xenofobi e a dissotterrarli quando la situazione sociopolitica dà segno di tollerarli. Ricominciamo dalle parole allora, da quel lessico che ci appartiene, famigliare, per citare Natalia Ginzburg. Ricominciamo dalle parole del nostro quotidiano e del nostro focolare il quale, perdonate la banalità, con l’avvento dei social media si è fatto più grande, più esteso ma non per questo più aperto. Proviamo a decostruire e scomporre quelle parole, indici di una posizione piuttosto che di un’altra anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca e politica.

Razzista: tutti sanno cosa sia in teoria, pochi ammettono di esserlo. Molti lo sono non tanto a parole, ma nei fatti. I sintomi del razzismo oggigiorno vanno da un “no ma io non sono razzista però…” a “sì ma tra di loro ci sono anche quelli buoni”. Fino a qualche anno fa il razzismo era l’odio del diverso, della pelle nera, degli occhi bianchi, dei capelli verdi ecc. Ma il razzista italiano 2018, salvo casi comunque non rari di fanatismo, non odia il fenotipo, cioè il dato esterno, sia esso la pelle nera o altro. Il razzista 2018 odia la povertà altrui, la disperazione che un flusso migratorio porta con sé. Questo perché, contrariamente a quanto si possa pensare, l’italiano medio non ha dimenticato di essere stato un migrante fino al secolo scorso e ricorda bene il proprio passato di povertà, miseria e discriminazione. Ma invece che imparare da esso preferisce allontanarlo, appunto, come un brutto ricordo. Pertanto, possiamo definire il razzismo italiano contemporaneo come una ostilità verso chiunque è sia straniero che povero in terra italica.

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Buonismo: diretta continuazione del “pietismo giudaico” di epoca fascista, il buonismo è quella etichetta, il più delle volte (ma non sempre) immeritata, con la quale puntualmente si bolla chiunque mostri, anche solo a parole, compassione per la condizione dei migranti. Ma laddove il pietismo era, in epoca fascista, quasi un reato, punibile dai gruppi squadristi, oggigiorno si tende più che altro a tacciare di ipocrisia e falsità chi semplicemente tutela i diritti umani. Non mancano tuttavia proposte di punire anche le iniziative recenti da parte di alcuni nostalgici.

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Buon senso: il presunto antidoto al buonismo. Una composizione arbitraria di retorica, razionalismo e senso comune (non per forza buono). Un po’ come quando ti propongono di censire tutti i rom e di espellere quelli non italiani. In fondo “sembra una cosa sensata. Noi tutti siamo censiti, perché non dovrebbero esserlo anche loro?” Perché il censimento in Italia non mira ad individuare e catalogare delle categorie specifiche o gruppi di persone in quanto è leggermente anticostituzionale (vedere Art. 3 della nostra Costituzione). O come altri geni del buon senso che si chiedono “ma perché i migranti spendono così tanti soldi per dei viaggi in mare pericolosi quando potrebbero utilizzare quei soldi per andare in aereo?” Perché è dura, specialmente se vivi in Africa, ottenere un visto per uscire dal tuo paese e andare a vivere in un altro continente. Tutte informazioni queste che a quanto pare il buon senso non tiene conto.

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Radical chic: nato non tanto nel contesto attuale delle migrazioni, radical chic è oggi usato in maniera dispregiativa per indicare gli intellettualoidi, prevalentemente di sinistra, impegnati in battaglie civili, colpevoli, almeno a detta dei detrattori, di essere incoerenti. In pratica se indossi una maglietta rossa, non puoi sfoggiare uno smartphone. Mica come i politici che giurano sul Vangelo e i suoi precetti…

Razza: sinonimo di specie, indica un insieme di animali accomunati da caratteristiche comuni. Nel caso degli umani è comune la caratteristica di credere che razza sia anche sinonimo di etnia. Anche qui, grazie buon senso.

Infine è proprio degli ultimi giorni, l’intervista di Repubblica allo scrittore Andrea Camilleri che ha accostato il consenso salviniano a quello mussoliniano del 1937. Un accostamento che ci pare, se non di buon senso, almeno dotato di senso storico, dato che Camilleri è stato presente a entrambi i consensi. Ma, come avrete notato, il senso storico manca al nostro piccolo vademecum del lessico razzista.

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