ArteLetteratura

Negli occhi tuoi languidi e malinconici | Raffaello500

“Oggi mia moglie ed io siamo andati a palazzo Pitti” annota in Diario Nathaniel Hawthorne il 10 giugno 1858. “La collezione di quadri è la più interessante che io abbia visto, e non mi sento né forse mi sentirò mai in grado di parlare di uno solo. Ma il quadro più bello del mondo, ne sono convinto, è la Madonna della seggiola di Raffaello”.

Il 6 aprile ricorre il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio, che si è voluto celebrare anche con una mostra alle Scuderie del Quirinale. È noto che nacque e trascorse la fanciullezza a Urbino, che eseguì l’apprendistato a Perugia dal Perugino, che visse e lavorò tra Umbria e Marche, che trascorse i suoi primissimi vent’anni a Firenze, circondato da Michelangelo, Leonardo, Masaccio, Beato Angelico, Donatello, e che a Roma si trasferì per gli ultimi dodici anni della sua vita, dove sotto l’ala dei pontefici rivaleggiò con Michelangelo per affrescare il Vaticano, e vi morì. È conosciuto per essere stato forse tra i pittori più influenti della storia dell’arte occidentale, stimolando il manierismo, il classicismo di Cinque-Seicento, alcuni fiamminghi e spagnoli, i sette-ottocenteschi Ingres e Delacroix, i Preraffaelliti, perfino Manet o Dalì.

raffaello500-poesia-pittura-occhi-la-muta
La Muta (1507, Urbino – Galleria Nazionale delle Marche)

È certo che tutti abbiamo in mente almeno una sua opera, che sia La scuola di Atene o Lo sposalizio della Vergine o La Fornarina o l’Autoritratto o una delle sue numerosissime Madonne; non possiamo affermare con altrettanta sicurezza che questo valga anche per altri pittori italiani a lui coevi tra Quattro e Cinquecento. È invece ancor meno risaputo, quasi sconosciuto, il legame che ebbe con la parola. Non pochi degli artisti rinascimentali erano genialità eclettiche: Leonardo e Michelangelo sono solo i più celebri. Da un lato uno dei più alti prosatori del primo Rinascimento, per nulla umanistico per erudizione ma modellato sul discorso libero e comune, dall’altro uno degli esponenti più imponenti del Petrarchismo cinquecentesco, per le sue oltre duecento liriche complete, insieme a Della Casa, Stampa, Colonna, Gambara.

raffaello500-pittura-occhi-poesia-baldassar-castiglione
Ritratto di Baldassar Castiglione (1514-1515, Parigi – Museo del Louvre)

Così pure Raffaello si cimentò nella poesia, avvolto e immerso in quel mondo di malinconia e languidezza, tipico non solo dei suoi quadri ma anche del Petrarchismo stesso. Compose, forse semplicemente per mettersi alla prova come letterato, cinque sonetti; un sesto è ritenuto apocrifo. Questi vennero ritrovati come annotazioni ai disegni preparatori per la Disputa del Sacramento, uno degli affreschi del 1509 della vaticana Stanza della Segnatura. I temi trattati sono tipicamente petrarchisti, topici anche per i poeti e le poetesse sopracitati. Stupisce quanto, al di là dell’insanabile dissidio fra amore terreno e amore divino, rispecchiato ne La Fornarina e ne La Velata, il contenuto poetico collida con l’universo pittorico dell’artista. L’afflato religioso e la ricerca dell’assoluto, assenti nei suoi sonetti, si presentano però nei dipinti, per la maggior parte proprio sacri, ma senza contrasti manifestati da turbamenti e affanni interiori. Infatti in essi prevale comunque un tono elegante, sereno, lieve, tenerissimo, intimo.

raffaello500-pittura-occhi-poesia-belle-jardinière
Belle Jardinière (1507, Parigi – Museo del Louvre)

E, tenendo conto della committenza e dell’inconscio e della formazione artistica di Raffaello, come è possibile che l’infinita dolcezza, la delicatezza vaporosa dei gesti e degli sguardi, la bellezza fisica ideale che coincide con la virtù, l’estrema umanità e l’atemporalità, tratti delle sue opere pittoriche che l’hanno reso celebre e immediatamente identificabile, si concilino con la passione esclusiva spesso non corrisposta, la rimembranza, la nostalgia, lo smarrimento dopo i piaceri notturni, la perdizione, l’esistenza intesa come viaggio per mare, al centro dei suoi sonetti? Forse la pittura era capace di donargli ciò che l’animo non trovava. Altrimenti la poesia era puro esercizio, stereotipato, un’improvvisazione ludica emulativa del suo secolo: Un pensier dolce è rimembra[r]se in modo / di quello asalto, ma più gravo è il danno / del partir, ch’io restai como quei ch’hano / in mar perso la stella, se ’l ver odo. Inoltre l’Amore si fa trappola, con lessico venatorio, e invischia rendendo immobile, perduto e catturato per sempre, il poeta: Amor, tu m’envesscasti con doi lumi / de doi beli occhi dov’io me strugo e [s]face, / da bianca neve e da rosa vivace […]. Il topos dei due lumi rimonta direttamente a Petrarca, a quelli di Laura, stelle, punti di orientamento.

raffaello500-pittura-poesia-malinconia-dama-col-liocorno
Dama col liocorno (1505-1506, Roma – Galleria Borghese)

Vi è poi lo struggimento del desiderio, dell’innamoramento delicato, del piacere che fa continuamente e repentinamente cambiare colore al volto, dal pallido al paonazzo. Poi non manca l’ineffabilità del sentimento e dell’esperienza amorosa, vista come inganno, tormento, profondissima sofferenza: Or, lingua, di parlar disogli el nodo / a dir di questo inusitato ingano / ch’Amor mi fece per mio gravo afanno, / ma lui pur ne ringrazio e lei ne lodo. […] Ma io restai pur vinto al mio gran foco / che mi tormenta, ché dove l’on sòle / disiar di parlar, più riman fioco. Amore si fa tradizionalmente dominus, signore, in quanto ha totalmente in suo potere l’animo amante. Raffaello con forza icastica ed estenuata lo dichiara: [I]o grido e dico or che tu sei el mio signiore.

raffaello500-pittura-poesia-malinconia-cristo-benedicente
Cristo benedicente (1506, Brescia – Pinacoteca Tosio Martinengo)

Prosegue con una rappresentazione celeste che rievoca il Dante stilnovista e della Commedia, nonchè Petrarca: dal centro al ciel, più sù che Iove o Marte, / e che schermo non val, né ingenio o arte, / a schifar le tue forze e ’l tuo furore. Non vi è difesa di nessun tipo, forse arriva ad affermare in extremis, al pari di Michelangelo, l’insufficienza dell’arte, cioè come neppure questa permetta di trovare la pace o alleviare il dolore causato dal furore amoroso, dalla sua furia che conduce ad una pazzia agonizzante. Come può dunque tutto questo sublimarsi in un’arte per cui le chiavi di volta sono la grazia, la raffinatezza, l’abbandono della resa dei moti dell’animo, l’uso melodico della linea e del colore, l’assenza di mistero e ambiguità? Forse è nell’antinaturalismo, tendenza esasperata dai manieristi, che possiamo sforzarci di intravedere vagamente spie di inquietudine. Como non podde dir d’arcana Dei / Paul, como disceso fu dal c[i]elo, / così el mio cor d’uno amoroso velo / ha ricoperto tuti i penser miei. Ancora si rievoca la Commedia dantesca, Inferno II, in riferimento all’ineffabilità e al viaggio ultraterreno di San Paolo. Tal che tanto ardo, ch[e] né mar né fiumi / spegnar potrian quel foco; ma non mi spiace, / poiché ’l mio ardor tanto di ben mi face, / ch’ardendo onior più d’arder me consu[mi]. Per l’artista l’amore è in definitiva come un fuoco che infiamma, arde, consuma annullando l’animo; inestinguibile, indomabile, implacabile.

raffaello500-pittura-poesia-occhi-madonna-granduca
Madonna del Granduca (1504, Firenze – Galleria Palatina)

L’esperienza irrazionale produce del bene, sicuramente a livello autobiografico, artistico e nel processo di crescita e maturazione personale. Quanto fu dolce el giogo e la catena / de’ toi candidi braci al col mio vòl[ti], / che, sogliendomi, io sento mortal pen[a]. Guardandosi a ritroso, i ricordi passati di terribile angoscia e tortura sembrano dileguarsi in piacevolezze nostalgiche e atroci, che pur di essere vissute ne sono valse tutte le sofferenze: il patire fa sentire il poeta vivo e umano. Vi è spesso un’impressione quasi di autocommiserazione, di compiacimento nella contemplazione della propria sofferenza, di dimensione eroica. E sembra prevalere proprio quest’ultima nella sua pittura: pare che mascheri gli inquieti affanni e conflitti interiori con immagini di una grazia estrema, purissima.

raffaello500-pittura-poesia-occhi-bindo-altoviti
Ritratto di Bindo Altoviti (1515, Washington – National Gallery of Art)

Infine si riconosce come l’amore guidi all’errore, al peccato, in una continua ricerca di soddisfazioni e felicità che non possono essere appagate: [Fe]llo pensier, che in ricercar t’afanni / [d]e dare in preda el cor per più tua pace, [n]on vedi tu gli efetti aspri e tenace / [de] cului che n’usurpa i più belli anni? È come se ragione e sentimento, pensier e cor, combattessero tra loro, fossero con Amore in un costante dissidio che usurpa e dilania la giovinezza: gli anni più belli. E quelli di Raffaello furono particolarmente brevi, infatti morì a soli trentasette anni, come riporta il Vasari, nel Venerdì Santo del 1520, a causa di “eccessi amorosi”. Le sue esequie si tennero nel Pantheon. A capo del letto funebre era stata collocata la Trasfigurazione, il vertice e l’ultimo capolavoro della sua produzione pittorica. Proprio nel Pantheon, nel tempio di tutti gli dèi, si trova tuttora conservato il sarcofago marmoreo di quella reincarnazione di Cristo, per questo soprannominato “divino” dai contemporanei. Dopotutto dai suoi autoritratti traspare la stessa nobiltà e bellezza delle migliori rappresentazioni cristologiche. Dopotutto Raffaello si è fatto interprete d’un ideale di bellezza classica e canonica, identificatasi nel gusto d’interi secoli, incarnando il sogno estetico del Rinascimento per cui il pittore, come scrisse l’urbinate stesso, ha l’obbligo di fare le cose non come le fa la Natura, ma come ella le dovrebbe fare. Per concludere, parola più alta non poté essere detta su di lui che non nell’epitaffio, dedicatogli da Bembo: ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI / RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI. Qui giace quel Raffaello da cui la Natura, mentre lui viveva, temette di essere vinta e, mentre lui moriva, di morire.

raffaello500-pittura-poesia-occhi-madonna-seggiola
Madonna della Seggiola (1514, Firenze – Galleria Palatina)

In copertina: Autoritratto (1506, Firenze – Galleria degli Uffizi)

Federico Corradi

Federico Corradi è nato a Brescia il 6 gennaio 1999, è cresciuto a Palazzolo sull'Oglio, dove ha conseguito la maturità scientifica. Attualmente studia Lettere Classiche presso l'Università di Pavia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *