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Quando il trailer è meglio del film: “A quiet place”

Alla sua terza prova come regista, John Krasinski dirige sé stesso e la moglie, Emily Blunt, in un film di genere thriller/horror/survuval/postapocalittico ibrido, in cui cerca di mantenere un certo equilibrio tra action, survival e legami famigliari: presupposti molto interessanti poi forse disattesi.

La sceneggiatura che Bryan Woods e Scott Beck hanno scritto assieme allo stesso John Krasinski tradisce un soggetto, un’idea nuova, un’intuizione rivoluzionaria: scalzare il protagonista assoluto del genere horror, l’urlo, in favore di una tesione data dal silenzio, dal terrore del suono, e dall’assenza pressocchè assoluta dei dialoghi. Essa si arena di fronte alle banalità e alle sviste – fino a palesi errori – dello script.

Il prologo inizia con l’89esimo giorno dall’apocalisse/infestazione – si può in realtà apprezzare la volontà di non dare una spiegazione chiara e scientifica del fenomeno – mostrando una famigliola procacciarsi il necessario in un desolato paesotto. L’atmosfera è tesa e avvincente mentre i quattro si aggirano a piedi nudi per evitare qualsiasi rumore. Altra buona idea: la famiglia è in grado di comunicare col linguaggio dei segni essendo la figlia maggiore sordomuta. Ma il regime del silenzio è facile da rompere e il figlio più piccolo rimane vittima di una creatura; scopriamo dunque che questi esseri antropofagi sono attirati dai suoni.

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472esimo giorno, la famiglia continua a sopravvivere all’interno della propria fattoria e scopriamo che nell’anno trascorso il protagonista, Lee, ha avuto la brillante idea di mettere incinta la moglie. Da qui in poi però, ahimè, lo spettatore inizia a porsi qualche domanda, che rovina il clima di suspence finora molto ben costruito dalla pellicola: perché se il fragore di una cascata copre i suoni permettendo di parlare e perfino urlare i protagonisti non si traferiscono lì accanto? Come mai l’ingegnoso padre, che ha installato telecamere ovunque e sparso chilometri di sabbia per evitare anche il rumore dei passi, capace di costruire apparecchi acustici per la figlia sorda, non ha pensato di insonorizzare la casa con delle confezioni di uova? O di costruirla direttamente interrata? O di creare trappole sonore che attirino i mostri lontano in caso di attacco? E, dulcis in fundo, l’evergreen: da dove arriva la corrente elettrica? Qualche clichè di troppo poi segna il giudizio ormai negativo sull’opera.quiet2

Le prove attoriali non lasciano affatto a desiderare: la Blunt sembra geniunamente terrorizzata e sofferente, i bambini convintissimi della loro interpretazione. Perfino la fotografia e il sonoro sono di buon livello, contestualizzati nel genere e con qualche citazione più o meno chiara a Shyamalan e Spielberg, così come un ottimo montaggio. La pellicola vorrebbe arricchirsi di spunti nuovi per il genere: non è il sonoro infatti a scandire le scene di suspense ma i diversi piani dell’immagine, come i personaggi entrano ed escono dall’inquadratura e i piccoli indizi che caricano la tensione, come promesse di suono. Esempio positivo ne è il pancione di Emily Blunt, ma a volte anche qui la modalità è troppo consueta e palese, come nel caso del chiodo appuntito lasciato lì per dopo. Ottimi anche gli incassi, a seguito di un’aggressiva campagna pubblicitaria. Ma purtroppo dopo i primi dieci minuti, che avrebbero composto da soli un ottimo cortometraggio, il tutto smette di convincere e perfino di spaventare.

A quiet place prima illude e poi delude: non si può urlare al capolavoro.

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