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PRESENTI ASSENTI?

Ieri sono state ufficializzate le candidature per la notte degli Oscar: come tutti sappiamo, il premio cinematografico più antico e celebre al mondo. I riconoscimenti dell’Academy vennero assegnati per la prima volta nel lontano 1929 (qualche anno dopo, tre per l’esattezza, cominciò il Festival di Venezia). In fondo, non v’è poi tanto altro da dire: di certo gli Academy Awards pongono in scena la sfilata dei personaggi più conosciuti in ambito cinematografico e non. Si subisce chiaramente il fascino di una così pomposa soirée, ma rimane gravoso il fatto che di ciò si tratta: una parata di magnifiche donne e altrettanti uomini, artisti e buffoni, geni della cinematografia e maghi da strapazzo. Gli Oscar sono una passerella, che consacra chi se ne fregia del titolo massimo per la storia “indiscussa” della settima arte.

A volte però, dietro a grandi fasti e immense onorificenze, si cela un lato nascosto che fugge dagli occhi dei molti, palesandosi solo a chi non ha paura di discostarsi dal pensiero comune; come quando tutti dicono che quel film è bello, e tu in silenzio pensi che invece si tratta solo di una petalosa (non vogliatemene!) e odorosa merdata. Personalmente, fin da quando ne ho ricordo, sono un accanito appassionato di cinema, e conseguenzialmente seguo la notte degli Oscar, ma, come dicevo, con il tempo mi sono reso conto che non è tutto oro quel che luccica. Negli anni si sono susseguiti personaggi oltremodo illustri che per qualche motivo, a volte taciuto, si sono rifiutati di ritirare l’immensa onorificenza, come quando Marlon Brando nel ’73 boicottò la cerimonia mandando al suo posto una giovane Apache che denunciò il razzismo nell’industria del cinema americano. Ancora prima, l’immensa (qui non faccio dell’ironia) Katharine Hepburn ne rifiutò addirittura quattro – per non parlare delle altre otto candidature per la miglior attrice protagonista. In merito, quello da molti considerato uno dei migliori attori della sua generazione, Paul Newman, affermò (dopo nove candidature, un Oscar alla carriera, un Premio umanitario Jean Hersholt ed un unico Oscar come miglior attore protagonista nel 1987 – che non ritirò): «Non mi preoccupo minimamente degli Oscar. È come inseguire una bella donna per ottanta anni, alla fine si molla e si dice: “Sono terribilmente dispiaciuto. Sono stanco.”». Il personaggio che però più ha manifestato sdegno per tutto ciò che circonda l’Academy è Woody Allen. Ha ricevuto negli anni venti nomination e quattro Oscar: tre per la miglior sceneggiatura originale ed uno per la miglior regia. Ha sempre accusato l’Academy di agire, nelle premiazioni, per interessi esterni alla pura riconoscenza artistica, del tutto disinteressata. Prendendo con le pinze l’uomo Allen (certamente un personaggio controverso), è necessario prestare attenzione alle sue parole, trattandosi di uno dei più grandi registi di sempre, avendo compiuto negli anni capisaldi della cinematografia.

Dal mio punto di vista, opinabile, il più grande regista almeno dagli anni sessanta ad oggi fu Stanley Kubrick; considero i suoi lavori un insieme di vere e proprie opere d’arte, che dovrebbero essere esposte in musei multimediali, al pari di immortali capolavori come la Monnalisa o la Cappella Sistina. L’anno scorso, seguendo la cerimonia da casa, appresi quella che al momento mi pareva essere un’assurdità inspiegabile: Kubrick non ha mai vinto un Oscar, se non quello agli effetti speciali per 2001: Odissea nello spazio. Risulta davvero complesso individuarne la causa. A voler pensar bene, impegnandocisi affondo, qualcuno potrebbe asserire che a volte il genio non si riconosce subito; che, essendo magia e non materia, fossimo, all’epoca, troppo ignoranti per comprenderlo. Alla fine però, per chi non vuol menar il can per l’aia, è poco probabile che la spiegazione possa essere questa, perché molti di coloro che hanno vinto meritavano il premio e, anche se non paragonabili in termini di immensità a Kubrick, hanno posto in scena arte vera, quell’arte che richiede coraggio quand’anche tutto ciò che ruota attorno sembra ostacolarne la magnifica creazione. Da quel momento, cominciai ad informarmi sulle possibili spiegazioni di questo “strano fenomeno”, scoprendo addirittura che il regista Sergio Leone, quello di C’era una volta in America – solo per citarne uno – non ha mai preso neanche una nomination all’ambito premio. Ennio Morricone, riconosciuto unanimemente come uno dei più grandi compositori viventi, almeno per quel che riguarda la cinematografia, ha vinto per la prima volta l’Oscar nel 2007, lui che è dal ’62 che compone opere indimenticabili, e quel premio non fu neanche per un lavoro particolare, bensì un “generico” premio alla carriera; solo nel 2016, dopo cinquantacinque anni di lavoro, gli è stato riconosciuto finalmente il premio per la colonna sonora di The Hateful Eight. Potrei scrivere ancora per ore in merito ad altri geni della cinematografia mai premiati, ma lungi da me il farlo. Ciò su cui voglio porre il riflettore, per rimaner in tema, è la solita vecchia storia dell’uomo: dove v’è danaro, c’è interesse capace di attirare squali affamati pronti a divorar tutto senza mai saziare la loro fame. Il cinema è arte, e l’arte è tante cose: è bella ed è brutta, può essere crudele o benevola, ma rimane pura in sé e per sé. L’arte deve essere disinteressata, altrimenti non si tratterebbe di arte, ma di un prodotto da svendere al miglior offerente. Quello che ci offre oggi il cinema è molto spesso frutto di mero business e ciò può anche andar bene se utile a mandar avanti la baracca, ma il senso stesso della “baracca”, il motivo della sua esistenza, è la diffusione di quell’arte che loro svendono, e ciò è necessario ricordarlo. L’Oscar dovrebbe essere il semplice riconoscimento del lavoro artistico svolto da coloro che più coraggio hanno avuto nel cercare di spingersi un po’ più in là degli altri, anziché un salotto di padroni che decidono per interessi soggettivi chi merita l’incoronamento e chi no. La genialità di alcuni è il limite di altri, d’altronde il Cristo lo riconobbero solo in dodici, e la specie umana è abile a confondersi, perché è un po’ puttana e un po’ puttaniere, per cui continuerò a sobbalzare davanti al teleschermo alla sublime vista della soirée, e poco importa che la lista dei nomi sia a dir poco indecente, poiché chi sarei io qualora non danzassi come tutti nello sfarzoso canto di ipocrisia.

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