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Prescrizione? Giustizia lenta, giustizia negata

Avvocati che sfilano in manette o che lasciano l’aula mostrando cartelli con gli articoli della Costituzione. Sono solo alcune delle forme di protesta contro la riforma sulla prescrizione che, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, hanno interessato le aule dei tribunali italiani, da Napoli a Milano.

Il 16 gennaio 2019 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” (cd. legge Spazzacorrotti), che affronta anzitutto il fenomeno corruttivo e, più in generale, l’azione di contrasto ai reati contro la Pubblica Amministrazione, approvata a inizio 2018, quando al Governo c’era l’alleanza M5S-Lega.

Il 1 gennaio 2020 è entrata in vigore e, tra le altre proposte, ha modificato la prescrizione accendendo il dibattito tra docenti, avvocati, politici e magistrati. Si riteneva infatti che la prescrizione, così com’era regolata, non permettesse di perseguire, in particolare, i reati di corruzione, per via di termini prescrizionali troppo brevi.

La prescrizione è uno strumento giuridico che ha a che fare con il tempo e il suo scorrere e divenire, la tutela di un diritto ha sempre a che fare con un limite temporale stabilito per legge. Con la prescrizione il reato si estingue perché è trascorso troppo tempo dalla sua commissione, e senza che sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna o assoluzione. Oltre un certo limite di tempo la società non ha più interesse ad esercitare l’azione penale per accertare la responsabilità di un reato perché la pena, affinché possa essere efficace, deve essere irrogata con celerità. Più ci allontaniamo dal momento del reato, più la pena è inefficace e meno svolge il suo effetto repressivo e rieducativo. La legge prevede termini di prescrizione differentemente proporzionati alla gravità e alla tipologia dei reati (consumato, tentato, permanente ecc…), tranne per i reati che prevedono come pena l’ergastolo, in questo caso la prescrizione non opera.

Fino alla Legge Spazzacorrotti un reato “cadeva” in prescrizione per un tempo pari alla pena massima stabilita dalla norma per la sua commissione. Ad esempio se la legge prevedeva per un reato consumato la pena massima di 15 anni, sarebbe caduto in prescrizione scaduto il termine di 15 anni a partire dal giorno della sua consumazione.

La legge “Spazzacorrotti” oggi prevede invece che nessun processo andrà mai in prescrizione dopo la sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione).

Il vero problema che si cela dietro questa riforma è la lentezza della macchina giudiziaria, e il governo giallo-verde ha ritenuto che rivedere l’istituto della prescrizione potesse essere un buono strumento per accelerare i processi, reprimere i reati e assicurare i colpevoli alla giustizia.

Ma molto spesso l’obiettivo della giustizia non è sempre e solo quello di raggiungere la “verità” a tutti i costi, spesso il bene che viene tutelato da alcuni istituti giuridici (come la prescrizione), è la “pace sociale”, il quieto vivere, considerato più importante della verità.

I dati lo confermano: recentemente sono aumentate le richieste di risarcimento danni per i ritardi della giustizia. Dal 2003 al 2005, in Italia, le richieste di risarcimento sono aumentate del 140%. A Roma, nel biennio 2003-2005, le istanze di risarcimento sono più che quintuplicate, passando dalle 1.114 del 2003 alle 6.416 del 2005. Una giustizia che dimentica il principio della ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 della Costituzione.

Uno dei motivi della lentezza della macchina giudiziaria è la quantità di lavoro che si accumula ogni giorno sui tavoli dei giudici. Il problema della prescrizione infatti riguarda il reato fin dal momento della della comunicazione dello stesso alla procura. Ogni comunicazione che arriva sul tavolo del Pubblico Ministero o della Procura in teoria dovrebbe essere vagliata, analizzata e avviata verso il processo corrispondente. In Italia su 100 reati già il 60 % si prescrive in corso di indagine perché la macchina giudiziaria non è in grado di assorbirli tutti.

In Italia, solo un quinto (20,5%) dei processi penali arriva a sentenza. Nel 78,9% dei casi, il procedimento termina con il rinvio a giudizio. Il processo penale di primo grado dura più o meno 600 giorni, mentre nel resto d’Europa 138. Il processo d’appello 901 giorni e in Europa 143. Nonostante il confronto di questi dati va esaminato con cautela perché gli ordinamenti degli Stati europei sono diversi tra loro, il divario rimane notevole e invita a porsi delle domande.

Chi sostiene la validità di questa riforma ritiene che i termini prescrizionali in Italia fossero troppo brevi, la prescrizione così com’era regolata impediva che diversi imputati, altrimenti giudicati colpevoli (soprattutto per corruzione), non venissero giudicati o condannati a causa dello scorrere del tempo. Anche dall’ estero sono spesso arrivate richieste di riformare la prescrizione e di renderla più simile agli altri paesi europei. Di recente infatti la Commissione UE si è espressa a favore della riforma. Uno tra i sostenitori Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e oggi componente del Consiglio superiore della magistratura afferma: “È l’Italia l’anomalia: abbiamo un sistema giudiziario in cui un imputato condannato in primo grado fa appello per vedersi ridotta la pena, ma sperando in realtà di non scontare alcuna pena, neppure ridotta, perché tanto arriverà la prescrizione“.

La riforma viene invece respinta dalla presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia e da alcuni magistrati come Vladimiro Zagrebelsky, che spiega le ragioni del suo dissenso in un articolo pubblicato su “La Stampa” il 5 dicembre 2019 (https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2019/12/offesa-la-civilt%C3%A0-giuridica-vlade-zagre.pdf). Egli ritiene il nuovo sistema in vigore da quest’anno troppo duro e inapplicabile nel nostro Paese. Per affrontare la lunghezza dei processo egli propone un’ampia depenalizzazione, perché con questa riforma della prescrizione si violerebbero i diritti dell’imputato, in particolare la presunzione di non colpevolezza e la ragionevole durata del processo.

“Secondo me, il problema dei problemi non è la prescrizione. E’ indubbiamente la durata dei processi. La domanda che dobbiamo farci è: qual è lo strumento attraverso il quale riuscire a ridurre la durata dei processi? ” Sono le parole Gherardo Colombo, ex magistrato.

Non esiste una risposta univoca a questa domanda, sarà necessaria probabilmente una riforma organica e profonda dell’intera amministrazione della giustizia, a partire dai posti vacanti in magistratura. Indubbiamente la soluzione non è stravolgere la prescrizione violando i diritti degli imputati e i principi fondamentali della nostra Costituzione.

Fonti:

https://www.ilpost.it/2020/02/11/prescrizione-guida-spiegata/

https://ilmanifesto.it/prescrizione-cosi-si-fa-a-pezzi-il-principio-di-non-colpevolezza/

https://eurispes.eu/news/eurispes-unione-camere-penali-italiane-secondo-rapporto-sul-processo-penale/
http://www.libertaegiustizia.it/2018/11/09/davigo-se-si-taglia-la-prescrizione-i-processi-si-accorciano/

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