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Poche idee ma molto confuse

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Tanto per essere tranchant: i cortei dei collettivi universitari autonomi diretti oggi alla Bocconi non hanno alcun senso.
Ce l’hanno le bandiere alzate contro i tagli all’università, contro la precarietà dei ricercatori, contro la carenza di borse di studio, per l’inadeguatezza di molte strutture e per un accesso ai saperi il più ampio e libero possibile. Ce l’ha l’odierna mobilitazione studentesca internazionale, in cui migliaia di studenti da tutta Italia chiedono di essere partecipi delle scelte che cercherano di imporre un cambio di passo nei confronti della redistribuzione dei sacrifici per far fronte a una crisi di cui non sono responsabili e che non vogliono pagare.
Ma la marcia sulla Bocconi no, quella di senso proprio non ne ha. Eppure gli atti simbolici, per loro natura, attirano più delle buone argomentazioni.
La scuola è il futuro della nazione, ma non la si salvaguarda instaurando una lotta tra pubblico e privato. Gli istituti contro i quali si sfila non hanno colpe a loro imputabili. Non è l’ingenua e francamente improduttiva parodia di una lotta di classe ad essere in grado di dare risposte alla crisi. Così come non lo sono poche idee e molto confuse: “smontare le banche” (e i risparmi di milioni di persone?), “far fallire lo stato” (e la lezione argentina?), “rifiutare il debito” (e i creditori?). Non sono questi i tempi, se mai ci sono stati, in cui si cambia un paese con slogan illusori e bonaccioni che spesso traboccano di incoscienza. E i gruppi che li espongono rischiano di mostrare di non avere né le competenze né tantomeno il potere di invertire la rotta di regresso di cui sono vittime.
Temere che una fantomatica longa manus di gerarchi bocconiani aumenti le esistenti disuguaglianze è solo sintomo di ostile diffidenza. L’università pubblica deve essere difesa non perché più retta o proba, ma perché è patrimonio culturale di tutti. E naviga in cattive acque perché agitate sono quelle in cui il paese è immerso. La crisi è economica, quindi le persone incaricate di mitigarne gli effetti fanno parte delle maggiori think tank economiche del paese. La maggiore è privata. Se si intendesse dare risposte alla crisi culturale, i ministri incaricati proverrebbero da altre istituzioni.Ben venga allora chi l’università ha dimostrato di saperla gestire, alzandone il livello e mantendone i bilanci in attivo.

Altrettanto pretestuoso appare poi lo spauracchio della “privatizzazione della scuola”. Non ne è nemmeno chiaro il significato. Pensare che un ministro dell’istruzione operi deliberatamente per demolire l’università statale per favorire quella privata è semplicemente folle. Chi si occupa della cosa pubblica cerca solo di riformarla nel modo più adeguato, nel limite delle sue competenze e delle possibilità economiche e legislative che il paese gli concede.
Sarebbe invece doveroso captare almeno la prima nota positiva del nuovo esecutivo, che è quella dell’alta densità di personalità universitarie, gioire del fatto che il nuovo ministro dell’istruzione è il rettore del politecnico di Torino, cioé un istituto universitario pubblico. Al contrario, si evocano gli spettri degli ormai famigerati “poteri forti”: banche, lobby, massoni e altri complotti. Senza mai viceversa ammettere che la Bocconi è divenuta il simbolo della possibile eccellenza universitaria italiana, senza essere orgogliosi di poter vantare esponenti governativi di calibro internazionale, prodotti di uno dei maggiori istituti della nazione.
E’ proprio tale densità di personalità universitarie, insieme alla scelta di includere nelle consultazioni presidenziali anche alcuni rappresentanti de giovani, a palesare implicitamente agli occhi di tutti quanto importante la scuola sia considerata dai nuovi governanti, e non solo come istituzione tramandante una cultura immobile, ma anche come una vera e propria fabbrica del pensiero. E se il “potere forte” è l’università privata, speriamo che altrettanto forte diventi anche quella pubblica.
Non c’è progresso nella società se non c’è progresso nelle idee. Se si è disposti a mettersi in gioco concretamente, allora si tirino fuori proposte migliori per risanare questo paese e quindi anche l’istruzione. Ma per farlo è necessario imparare il valore di una rappresentanza plurale, che esprima le tendenze prevalenti e scelga vari e meno sterili modi per dar voce alle proposte, e non solo alle recriminazioni. Sodalizi che sappiano approfondire i problemi e che scovino e segnalino la via per sfondare i cancelli della gerontocrazia pubblica e recuperare i principi per i quali abbiamo scelto la democrazia.

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