BirdmenPentedattilo film Festival

#PFF17 • Ethnophobia

Per quest’edizione, Birdmen è media-partner del Pentedattilo Film Festival, il festival internazionale di cortometraggi che si svolge a Pentedattilo (Reggio Calabria) dal 7 all’11 dicembre. Ecco le nostre recensioni in anteprima. La Redazione, inoltre, assegnerà il Premio speciale Birdmen al miglior cortometraggio d’animazione e al miglior cortometraggio live action.

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Da secoli l’uomo si avvale dell’utilizzo del mito come mezzo di comunicazione semplice e intrigante, necessario per la spiegazione di fenomeni di carattere filosofico.

“Sopravvivenza, conflitto e simbiosi procedono fianco a fianco; tutto è accompagnato da raffiche di gioia e dolore come risultato del bisogno umano di trovare ed esagerare le differenze quando le somiglianze sono palesemente più evidenti.”

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La sinossi esprime al meglio l’essenza di Ethnophobia, un brillante lavoro di clay motion, che oltre a plasmare personaggi di plastilina riesce a generare un mondo nuovo ma familiare.

Nonostante la narrazione si sviluppi in un arco di tempo molto ristretto, il cortometraggio mostra l’evoluzione secolare di una piccola civiltà simile a quella umana, sia nell’aspetto che nei modi di fare, ergendosi a grande metafora antropologica. La struttura del racconto è legata ad una grande problematica: quando l’uguaglianza diventa d’intralcio, è necessario inventare delle differenze.

Un po’ come quanto accade nel Mito delle stirpi di Platone, i protagonisti sono raggruppati in tribù con gli stessi obiettivi, e a differenziarli è soltanto il colore della pelle: i rossi, i gialli e i blu (non a caso i tre colori primari). Durante il banchetto per festeggiare una battuta di caccia, la situazione si tramuta in un calderone orgiastico dal quale, la mattina dopo, nasceranno sgraditi incroci (i verdi, gli arancioni e i viola). Alcuni di loro vengono sottoposti a dei rituali atti a riportarli al colore originale, ma nella maggior parte dei casi sarà tutto inutile; questi reietti si organizzeranno in una nuova tribù e prenderanno in breve tempo il sopravvento.

In questa metafora il regista Joan Zhonga riesce a rappresentare il rapporto tra la consueta società gerarchica e gli inadatti, coloro che vengono emarginati poiché impossibili da etichettare. Il corto apre ad una vastità di interpretazioni, dalla lotta alla xenofobia a quella contro lo status quo nel quale gli umani annidano la loro brama di sopraffazione. Ciò che favorisce la ricezione del messaggio da parte dello spettatore è la mancanza di personaggi completamente umani, l’ambientazione surreale e l’enfatizzata plasticità dei corpi aiuta a deresponsabilizzarsi, a comprendere ciò che il film denuncia senza sentirsi emotivamente coinvolti. Il finale è armonico, un vento di speranza che mostra come a volte le catastrofi possano diventare opportunità per riportare coesione e dialogo tra popoli.

La colonna sonora è uno dei maggiori punti di forza della pellicola, un mix di ritmi balcanici e vocalità suggestive, che donano un tocco folkloristico oltre che tribale ad ogni scena, specialmente nelle frenetiche sequenze venatorie e durante il rito “purificatore”.

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Per quanto riguarda la perizia tecnica, il cortometraggio è strabiliante; quando si ha a che fare con uno stop-motion di qualsiasi budget, si è sempre più consapevoli di ciò che si sta producendo (non si può dire lo stesso per alcuni live-action a low-budget). Risulta dunque doveroso elogiare la perfezione nei movimenti di macchina e la genialità compositiva che fanno di Joan Zhonga un vero esperto di questo genere.

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#PFF17

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