BirdmenPentedattilo film Festival

#PFF17 • Au revoir, Balthazar

Per quest’edizione, Birdmen è media-partner del Pentedattilo film Festival, il festival internazionale di cortometraggi che si svolge a Pentedattilo (Reggio Calabria) dal 7 all’11 dicembre. Ecco le nostre recensioni in anteprima. La Redazione, inoltre, assegnerà il Premio speciale Birdmen al miglior cortometraggio d’animazione e al miglior cortometraggio live action.

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Au revoir, Balthazar è un corto di animazione scritto e diretto da Rafael Sommerhalder, un animation film-maker di Zurigo che lavora nel settore da quasi vent’anni. Personalmente sono rimasto positivamente allibito dalla maestria con cui l’autore è riuscito a dare profondità a questo corto di nove minuti, mostrandoci come spesso la semplicità (non di certo dal punto di vista tecnico) possa essere il mezzo più consono per raffigurare dinamiche di vita complesse, raffigurando in così poco tempo il senso stesso dell’esistenza, e il paradosso di cui siamo vittime e carnefici.

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Il protagonista di questo piccolo capolavolaro è uno spaventapasseri nel mezzo di una tempesta di neve, in un campo con un albero spoglio, alla mercé delle intemperie. Conclusasi la bufera, lo spaventapasseri si ritrova con la gamba di legno rotta. Riaprendo gli occhi nota una piccola conchiglia bianca vicino a sé, e, avvicinandola all’orecchio, sente il rumore del mare. Ad un certo tratto, un corvo nero gli ruba il piccolo gioiello, l’unico tesoro di chi non ha niente. Così, il protagonista, sbeffeggiato e sbilenco, spogliato anche dello scopo per il quale ha posto nel mondo, con l’aiuto di un ombrello rosso trovato nel campo comincia il suo cammino all’inseguimento prima di uno poi di altri rapaci, che inpietosi si passano l'”oggetto dei desideri” dello spaventapasseri. Giunto nel becco di un gabbiano bianco, questi fa cadere la conchiglia, facendola rompere contro la roccia, rendendo vana la fatica del povero spaventapasseri, zoppo e ormai inutile per qualsivoglia mansione. Sulle pendici di quella rupe si rende però conto che quel rumore, quasi fosse un canto, prima udito nella piccola conchiglia, è ora forte tutto intorno a lui, ed è così che si manifesta la vista e la causa di tutta la sua fatica: il mare. Come fosse estasiato, forse per scelta, forse per errore, ad occhi chiusi porta un passo, e poi un altro fino a che non cade rimanendo impigliato sui margini della roccia, sospeso nel burrone con di sotto il mare e probabilmente la fine del proprio tempo. Ancora una volta, con gli occhi chiusi, estasiato e vuoto di ogni desiderio, decide così di lasciarsi andare, cadendo ancora e ancora, su di uno sfondo di cielo blu, e poi bianco colmo di neve e tempesta, fino a giungere nuovamente in quel campo, con quello spoglio albero, raggiunto poco dopo, e poco più in là, dove l’aveva trovato, dal suo ombrello rosso.

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Lo spaventapasseri vuole rappresentare l’esistenza stessa dell’essere umano, solo e inerme alla mercé della vita e delle sue disgrazie, nel mezzo di una bufera e poi di un’altra, fin quando, distrutto ed esautorato del misero scopo di vita, comincia ad inseguire qualcosa che in realtà non esiste, qualcosa che risulta inafferrabile, non raggiungendolo mai, non cogliendone comunque l’essenza di ciò che in realtà rappresenta. La conchiglia rappresenta il desiderio, la giustificazione per cui si procede fino al fondo, incapaci di altri pensieri o progetti, unica fonte di speranza quando ormai non v’è più posto nel mondo. Gli uccelli rappresentano le fatiche della vita, e il concetto per cui ogni cosa è una battaglia persa in partenza, almeno in principio. Quello che pareva essere un aspetto crudele e causa di disperazione, giunge ad essere infine la figura di inconsapevole guida sul cammino del protagonista. Il mare è la realizzazione incosciente di quel desiderio, come fosse qualcosa di più grande dello spaventapasseri, di noi tutti, la materializzazione di ciò che si è inseguito pur non rendendosi conto di ciò che in realtà rappresentava. La caduta infine è la morale della storia, e rappresenta il paradosso che funge da fondamenta della vita e della sua ciclicità, potendo sembrare cinica e angosciante, ma causa e fine di ogni cosa che vive e muore, conseguenza naturale per tutto ciò che esiste in cielo e in terra.

Dal punto di vista tecnico il lavoro di questo artista di Zurigo è impeccabile, di raffinata maestria: la fotografia e il disegno sono eccellenti e risultano perfettamente pertinenti alle emozioni che vuole suscitare nello spettatore. Attraverso un utilizzo appropriato di colori caldi e freddi, quasi neutrali nel loro intento, l’autore non vuole porre una critica ripetto alla visione negativa di un lato, seppur cinico e inafferrabile, che risulta essere mezzo e fine di ogni cosa, bensì rappresenta l’esigenza che si ha di dover accettare ciò che irrimediabilmente è, senza ergersi a giudice di un qualcosa più grande di ognuno e di ogni cosa. La musica, in più, è meravigliosa, e assume la medesima funzione che hanno i colori e i disegni.

Trovo a dir poco spettacolare questi nove minuti di visione, e meritevoli di più e più visioni, vista la meravigliosa eleganza con cui l’autore mette in scena un aspetto tremendo che fa parte del vivere comune.

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#PFF17

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