Cultura

PERSONALE VIDEO: Carlo Michele Schirinzi senz’attracchi

di Silvia Piccone

Tu chiamale se vuoi videoimpressioni. Anche il penultimo appuntamento cinematografico del Festival dei Diritti di Pavia, rimane fedele al romantico fil rouge che ha caratterizzato l’intera rassegna: il viaggio.

Dato il tema, non sarebbe sbagliato parlare della serata in termini di percorso attraverso le video-opere di uno tra i più acclamati registi sperimentali in Italia: il pluripremiato salentino Carlo Michele Schirinzi, presente in sala.

Un viaggio tortuoso però, ai limiti del naufragio, a partire dai primi cortometraggi d’inizio carriera, tra cui si citano Il nido Trappe, fino alle più recenti fatiche All’erta Mammaliturchi!: un modo di fare cinema o meglio, come non amerebbe affermare lo stesso Schirinzi, videoarte, alquanto complesso, non convenzionale e volutamente estraneo ad ogni necessità o velleità drammaturgica.

“Buttarsi in questo mare e lasciarsi naufragare” è il consiglio che il regista vuole dare, prima delle proiezioni, allo spettatore poco avvezzo “ad un certo tipo di cinema”, per comprenderne a pieno l’essenza ed osservarlo con occhi nuovi, che, per dirla con Carmelo Bene, punto di riferimento artistico ed intellettuale delle sue opere, “è tanto se li abbiamo salvati”.

Uno sguardo nuovo, dunque, che investe anche la componente sonora dei film: “anche il suono può essere una visione” afferma Schirinzi che, non a caso, ci offre all’ascolto ambienti sonori altamente evocativi, disturbanti ma sempre necessari.

Simboli misteriosi di non immediata comprensione si celano dietro ad abbaglianti sovraesposizioni

vagamente oniriche, le quali a loro volta, si succedono tramite un montaggio che farebbe

concorrenza a quello storico “delle attrazioni” di ejzenštejniana memoria. L’inevitabile fascinazione che si prova alla vista di cotanto bagliore, però, rischia di rendere vano ogni tentativo di comunicazione con il pubblico: ogni eventuale messaggio indirizzato allo spettatore, infatti, ammesso che ve ne sia qualcuno, diventa una triste chimera, resa definitivamente irraggiungibile da immagini che sembrano parlare solo di se stesse. Le fughe dalla sala, che tanto sempre di viaggio si tratta, lo hanno ampiamente dimostrato.

Notevolmente interessante, per contro, l’aurea grottesca a tratti ridicola che pervade soprattutto i primi video della carriera dell’artista, in cui egli stesso, presente in prima linea davanti alla macchina da presa, interagisce con lo spazio che lo circonda, inventandosi un personaggio goffo e stralunato, quasi macchiettistico, intento a cercare, fuggire o interagire con le forme e la materia del mondo reale, comunque sia, sempre in movimento.

Una piacevole scoperta la videoarte di Schirinzi, ma se è vero che, come si dice, l’importante non è la meta bensì il viaggio, comincio a temere perché, lo ammetto, sono rimasta senz’attracchi.

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