Musica

PERSONA: La reale lotta interiore tra l’artista ed il sé uomo

Sono passati tre anni dall’ultimo progetto originale di Marracash, “Status”. Lo scorso giovedì 31 ottobre, pubblicato dall’etichetta Island Records, è uscito “Persona” il sesto album in studio dell’artista siciliano cresciuto, fin da bambino, nel quartiere periferico milanese della Barona. Il disco rappresenta un lavoro intriso di significato e suoni che accompagnano l’ascoltatore in un viaggio introspettivo avente una duplice valenza: introspezione dell’artista ed introspezione personale. “Persona” è costruito proprio attorno al concetto di corpo fisico e delle sue parti che vanno a formare una fattispecie di Frankestein; è un lavoro davvero completo e tangibile pur avendo tanti simboli ed allegorie al suo interno. Ascoltandolo si ha l’impressione di vedere il corpo dell’artista sezionato, ed ogni canzone è legata ad una parte: denti, scheletro, cervello, sangue, fegato, polmoni, pelle, ego, muscoli, organi genitali, nervi, cuore, anima, occhi e stomaco, sembra quasi di vedere Frida Khalo quando rappresentava meticolosamente parti del suo corpo all’interno dei propri dipinti. Seguendo questa linea si vede come  Marracash sia riuscito a tramutare le sue esperienze, i suoi drammi, i dolori in arte. Si guarda allo specchio, mette le mani dentro di sé, aiuta chi ascolta ad immedesimarsi nella parte, rappresentando chiaramente il suo inconscio e contemporaneamente accompagnando l’ascoltatore nell’atto di compiere lo stesso processo di autoanalisi compiuto dall’artista; strofe tessute meticolosamente (lontanissime dal rap game) sul concetto del “brandello di se” che il rapper vuole raccontare con produzioni (curate principalmente da Marz, Big Fish, Charlie Charles, Dardust) molto varie e per nulla confondibili.

L’eterogeneità del lavoro la si percepisce dalla diversificazione degli strumenti utilizzati: bassi, chitarre, sax. L’attenzione verte sulla profondità degli argomenti personali, politici e sociali trattati in tutte e 15 le tracce, alcune delle quali vedono la collaborazione di 9 artisti, tutti facenti parte della scena rap italiana, ai quali Marracash ha affidato un pezzo di se stesso dichiarando che: ”ciascuno dei collaboratori è stato chiamato in funzione del concept dell’album e dei pezzi. Tutti hanno aggiunto una parte del loto talento in base al progetto nel quale li ho coinvolti”. In questo intento di associare ad ogni ospite una parte del suo corpo, Marra affida le parti più profonde di se a Madame, Sfera Ebbasta e tha Supreme: l’anima e l’ego. Un’anima pura come Madame, un ego estroso come tha Supreme e Sfera. Coez è il cervello di “quelli che non pensano”, ottima re-interpretazione del brano di Frankie Hi-Nrg Mc e Ice One, “Quelli che benpensano” classico del rap italiano. Oggi siamo noi quelli che non pensano, che non vanno in fondo alle cose, anche perché tutto è poco credibile, tutto si sfalda facilmente, abbiamo bisogno di uno scheletro che ci tenga in piedi. Non a caso lo scheletro dell’album viene affidato a Guè Pequeno, in “Niente in cui credere” con Marra sono due pilastri, complementari nonostante incarnino due tipologie d’artista differenti. Passando dalla pelle con Mahmood e dai muscoli con Luchè arriviamo ad “Appartengo” forse il manifesto del disco, ed infatti ne è il sangue, qui Marra viene accompagnato da Massimo Pericolo; sono molto simili sia per indole sia per modo di comunicare, profondo, chiaro e, soprattutto, diretto. Ritornando sulla follia che diventa ragione abbiamo “Greta Thumberg”, con Cosmo che canta sulla voce campionata dell’ambientalista. Un finale curioso che presenta l’ennesima critica al generale senso di disinteresse mostrato dalle vecchie generazioni.

 “Tutto questo niente”, non ci sono altre frasi che riescono a rappresentare meglio il grande vuoto che ci circonda, quella perpetua voglia di appagamento, di sentirsi importanti, solo per dare da mangiare al nostro ego. “Persona”, per questo, finisce per essere un ritratto cinico dei tempi che corrono e un ritratto dell’uomo che si cela dietro l’artista. D’altronde l’idea del nome “Persona” venne a Venerus pensando all’omonimo film di Ingmar Bergman, quando Marracash gli espresse la volontà di rappresentare questo eterno dualismo tra uomo e artista: «Prima rappresentare la vita attraverso l’arte era appannaggio degli artisti, ma ora lo fanno tutti grazie ai social network. – ci spiega il rapper – Tutti creiamo degli avatar, delle rappresentazioni di noi stessi, che alla fine neanche ci somigliano molto». Marra racconta di aver vissuto una «crisi personale, dopo la fine di una relazione tossica, di quelle che si leggono sui giornali» e che Persona è, alla fine, «frutto di un processo personale, perché avevo accumulato talmente tante cose da dire che quando ho iniziato a scrivere metodicamente tutti i giorni non ho fatto altro. Non sono mai uscito di casa. – rivela Marracash – Status in questo senso era un disco più ipertrofico, una prova di forza di quanto valessi. Era un disco barocco. Persona è più istintivo e comunicativo». Ogni traccia è stata curata in maniera quasi maniacale, le tracce scorrono proprio come una medicina in vena, arrivano esattamente dove devono arrivare, nello stomaco come un pugno, lungo la schiena come un brivido, ed anche al cuore per scaldartelo un po’.  Fabio forse ha scosso Marracash o forse Marracash ha liberato Fabio e così, simbolicamente, l’uomo ha ucciso l’artista, ed ecco che da questo momento di “equilibrio” tra i due è venuto fuori l’album. «La dicotomia tra i due esiste sempre perché io sono un po’ duale in tutto ciò che mi riguarda. – spiega – In questo caso è esagerato dire che è la prima volta che i due dialogano, ma ho un po’ ucciso Marracash in questo album. Marracash l’ho creato io, ma è stato molto modellato da ciò che la gente si aspetta da lui. Questo, quindi, è un disco più di Fabio che di Marracash. Mi sono liberato del personaggio».

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